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INTOCCABILI

RASSEGNA STAMPA DELL'INCHIESTA

2 ottobre 2015

Arrestati i “padroni” di Sassuolo Nei guai anche tre carabinieri
di Stefano Totaro - Gazzetta di Reggio

SASSUOLO - Ambrisi? A Sassuolo, o meglio, nel comprensorio della ceramica, è da un quarto di secolo che questo cognome è conosciuto. Più che a persone fisiche in particolare questo cognome viene associato ad un sistema: se finisci sotto "le loro grinfie" sei spacciato, puoi dire addio alla tua attività, oppure se alzi tropo la cresta o ti impicci di affari che non devi, per paventare l'intervento del deus ex machina che risolve tutto, è frequente sentire dire: "Sta attento che ti mando gli Ambrisi...".

Una famiglia, tanti prosperosi affari, tante vicissitudini con le forze dell'ordine, legami nel Meridione con altre famiglie. Fino all'altro giorno gli Ambrisi potevano fregiarsi di essere degli "intoccabili", ora "The Untouchables" è il titolo di un'operazione di Polizia e Finanza, coordinata dalla Procura di Modena che li riguarda direttamente. Sono stati arrestati infatti Rocco Ambrisi, 41 anni, uno dei figli del capofamiglia Nicola, e un altro 41enne, Adamo Bonini, uomo di fiducia di Rocco. Si trovano agli arresti domiciliari per i reati di usura, estorsione e corruzione. Ma nella rete delle forze dell'ordine sono finiti anche tre militari dell'Arma, carabinieri definiti ieri in procura, "compiacenti", che facevano ai componenti del sodalizio dedito all'usura e all'estorsione dei favori, dalla multa alle soffiate sulle eventuali mosse investigative di altre forze dell'ordine nei loro confronti. Per i tre, un capitano in congedo in forza a Verona e due sottufficiali di Modena, è scattato il divieto di dimora nei territori modenesi e reggiani e l'obbligo di firma. Ci penserà poi il Comando dei carabinieri a valutare quali interventi mettere in atto nei loro confronti. Come è stato incastrato il sodalizio? Grazie ad «una azione sinergica esemplare - così l'ha definita il questore Garramone - tra Guardia di Finanza e Polizia di Stato che hanno unito i loro sforzi investigativi, raccolto insieme prove e controllato varie vicende». Un lavoro gestito dalla Procura: i pm Marco Niccolini e Claudia Natalini, che hanno letto e riletto vecchi fascicoli inerenti ad omicidi e tentati omicidi, incendi dolosi, taglieggiamenti, agguati e percosse. Il filo conduttore, comunque, erano i soldi. Un flusso di denaro, cospicuo, spropositato rispetto al reddito dichiarato dai due uomini finiti nel mirino delle indagini. Una marea di soldi investiti in titoli di Stato, in fondi, denaro che così si puliva. Ma la provenienza, il modo in cui era stato creato questo flusso sono presto venuti a galla portando al sequestro, tra titoli e conti correnti di un milione e 700mila euro, nonchè di una Porsche. Come facevano soldi? Con interessi sui prestiti usurari superiori al 400% che hanno costretto, fra gli altri, un piccolo artigiano di Sassuolo a trasferirsi all'estero. Modus operandi? Qualche esempio: estorsioni a locali concorrenti, minacce a persone vittime di incidenti stradali per ottenere i risarcimenti. In molti casi i soldi sono stati reinvestiti in bar, pizzerie ed aziende intestati a prestanome. Agli arresti si aggiungono le denunce di almeno 8 persone che rappresentano "il braccio" dell'organizzazione sul territorio. Sono censiti per ora 14 casi concreti, ma gli inquirenti stanno approfondendo i contenuti di un "libro contabile" rinvenuto durante le perquisizioni, che traccia il flusso del denaro sporco pagato dalle vittime.

La scalata alla ristorazione con tassi d’usura del 417%
Ambrisi e Bonini “conquistavano” pizzerie, bar e ristoranti vessando i veri titolari Nei guai altri otto prestanome a cui sono intestate imprese edili e alcune officine

di Francesco Dondi - Gazzetta di Reggio

SASSUOLO. Il mondo della ristorazione era l’approdo più naturale per investire i soldi che il sodalizio incassava dalle attività illecite. Ma i proventi di ristoranti, bar e pizzerie erano anche una delle principali fonti di introito nel momento in cui Ambrisi ne arrivava illecitamente al comando. Perché la strategia per la scalata al potere seguiva due strade: c’era quella dei prestanome, persone conniventi e consapevoli di metterci “la faccia” per coprire i reali proprietari dell’impresa di ristorazione, meccanica, metallica o edile che fosse e c’era quella dell’usura, ossia il lento annientamento del vero proprietario, che a lungo andare - stritolato dai debiti con le banche, i fornitori e i prestatori di denaro a strozzo che portavano a tassi anche del 417%, come certificato dalla Guardia di Finanza - era costretto a cedere la guida del locale pur rimanendone ufficialmente proprietario e gestore. E se non bastava la forza del “dio denaro” a portare Ambrisi e Bonini a comandare decine di società imprenditoriali ecco che subentravano le ritorsioni e le minacce. Come accaduto ad una pizzeria che confinava con quella di proprietà del sodalizio. Inizialmente sono stati visti come concorrenti e una volta annullati - perché costretti a chiudere con le minacce e le intimidazioni - sono diventati vittime da dissanguare. Come? Costringendoli a continuare a pagare l’affitto di un locale ormai sfitto e poi a prendere in gestione una pizzeria a Reggio Emilia grazie ad un oneroso mutuo. Ma il prestito bancario era arrivato soltanto grazie alla garanzia fornita da uno dei due arrestati, che poi aveva preteso, quasi fosse un risarcimento per il favore, un bonus di 60mila euro.

Tutti legami, quelle delle società controllate attraverso prestanome, emersi grazie ai controlli incrociati sui flussi patrimoniali approfonditi dalla Finanza e dall’intenso lavoro di monitoraggio portato a termine da parte della polizia del Commissariato di Sassuolo. Grazie alle loro informative si è arrivati ad identificare in Rocco Ambrisi e Adamo Bonini i capofila del gruppo, ma nell’ordinanza di arresto, firmata dal gip Eleonora De Marco, sono finiti anche otto prestanome, che risultano indagati in stato di libertà. Era grazie a loro che gli affari prosperavano sotto una patina di legalità e se qualcuno ha iniziato a collaborare, altri hanno evidenziato “grande reticenza” come ha ammesso il procuratore capo, Lucia Musti.

Il comandante dei Cc: «Punizioni in arrivo»
Rammarico nell’Arma per i carabinieri accusati di corruzione e favoreggiamento Aiutavano Ambrisi & C. su inchieste e multe. Subito allontanati da Modena

SASSUOLO. L’indagine che ha coinvolto anche tre carabinieri ha creato forte rammarico all’interno dell’Arma. Dal comandate provinciale Stefano Savo fino al brigadiere dell’ultima stazione del Modenese, la reazione è stata di sgomento e anche rabbia per un comportamento sbagliato di pochi, che come sempre inficia e infanga l’onesto comportamento di tutti gli altri. I fatti, occorre ricordarlo, si snodano tra il 2011 e il marzo 2014, nonostante la famiglia Ambrisi si sia radicata e abbia “interagito” nel territorio ben da prima.

A esprimere lo sconcerto dell’Arma è il comandate Savo: «Sono già in corso valutazioni di carattere amministrativo nei confronti dei carabinieri indagati che vanno di pari passo con i provvedimenti giudiziari». Una dichiarazione che lascia ovviamente presagire quantomeno una sospensione almeno fino a quando il quadro non sarà completato. Ma intanto i tre carabinieri, un comandante ora in congedo e due sottoufficiali ancora in servizio, sono stati allontanati da Modena e Reggio con il provvedimento del divieto di dimora con l’obbligo di firma presso la polizia giudiziaria. Nei loro confronti le accuse sono , in sostanza, di essersi “messi a disposizione” dei criminali, ai quali fornivano supporto indiretto, con alcune agevolazioni e con il passaggio di informazioni relative alle indagini che i colleghi di altri corpi stavano conducendo. Per tutti e tre è scattata la denuncia per i reati di corruzione, abuso d’ufficio, rivelazione di segreti di ufficio e favoreggiamento.

Si va, hanno spiegato gli investigatori senza addentrarsi troppo nel merito, da una banale multa presa dalla moglie di un appartenente al sodalizio, per la quale si chiedeva di intercedere, fino ad altri favori più specifici e delicati inerenti all’attività criminale. Ovvero Ambrisi & C., a più riprese, avevano ottenuto informazioni su eventuali indagini, blitz o appostamento, insomma su operazioni che potessero essere in atto o intralciare il lavoro disegno. A supporto dell’accusa, gli inquirenti hanno raccolto alcune intercettazioni telefoniche, considerate esplicative della situazione, che testimonierebbero lo scambio di favori e informazioni tra il gruppo sassolese e i rappresentanti dell’Arma. Per anni, vista la delicata situazione e proprio per evitare sospetti tra i militari corrotti, la procura ha cercato di tenere l’inchiesta - o meglio le inchieste, visto che “The Untouchables” riunisce altre indagini in un unico fascicolo congiunto tra Guardia di Finanza e polizia - nel massimo riserbo, almeno fino a ieri.

Un racket delle estorsioni venuto alla luce già 23 anni fa
SASSUOLO. Il nome Ambrisi a Sassuolo è più che noto e noti sono i sospetti che legate a quel cognome si svolgano attività illecite. Ovviamente il sassolese medio non è a conoscenza di ciò che invece ora diventa di pubblico dominio con l’operazione Untouchables. Ma diverse sono state le occasioni in cui lo stesso cognome è arrivato alle cronache. E noti sono anche i legami della famiglia con alcuni dei più noti locali (bar e pizzerie) di Sassuolo. Il nome compare per la prima volta nelle cronache nel 1992, legato a un’altra operazione di polizia (quella volta denominata “Sandrone”) nella quale viene debellato un racket di estorsione con base a Sassuolo. In quel caso l’origine sembra in Puglia, ma fra gli otto arrestati c’è anche Giuseppe Ambrisi, 35 anni, originario di Nardò e residente a Sassuolo. L’estorsione riguardava i proprietari di un locale sassolese, il “Meeting”.

Nel 1998 al Senato si tiene una relazione del Servizio nazionale di investigazione sulla criminalità organizzata e nel capitolo riguardante l’Emilia Romagna viene citato ufficialmente il nome Ambrisi come organizzazione operante sul territorio di Sassuolo.

Nel 2002 Rocco Ambrisi e il fratello Giuseppe, poi deceduto, finirono alla sbarra per aver aggredito un uomo, armati di cric e un’ascia di legno. Di nuovo di un Ambrisi si occupa la Procura di Ravenna nel 2010. Stavolta le manette e la custodia cautelare scattano per il cinquantenne Luigi, che viene identificato come mandante, ancora una volta, di un’estorsione: per incassare il credito che vantavano con un imprenditore di Lugo: Luigi e un compare di Formigine, avrebbero mandato due uomini a mostrare il calcio di una pistola. L’operazione che ha portato agli arresti di ieri mattina era già in corso e anche se il fermo sembra casuale, non è improbabile che la famiglia fosse già seguita da vicino dalle forze dell’ordine. In città la famiglia detiene diverse imprese, intestate abitualmente a parenti o prestanome, che ora le forze dell’ordine hanno individuato come strumenti di riciclaggio del denaro proveniente dall’attività illecita: pizzerie, bar, ma anche rivendite e lavaggi auto e spedizionieri.

L’artigiano fuggito in Irlanda: «Finalmente posso confessare»
SASSUOLO. La sua è la storia emblematica di tutta l’inchiesta: stava vivendo un profondo periodo di crisi economica, non riusciva a fare fronte ai debiti contratti, non aveva più credito dagli istituti bancari e così era finito nella rete di Ambrisi e Bonini. Che sì gli avevano prestato soldi, per poi iniziare ad applicargli interessi a tasso d’usura altissimi. L’artigiano ci aveva anche provato, inizialmente, a rispettare gli impegni, sapeva che con gli Ambrisi non si sarebbe potuto scherzare, ma più il tempo passava e più la sua situazione economica precipitava. Da una parte c’era l’impossibilità di pagare, dall’altra l’opprimente pressione a cui era sottoposto dagli usurai, che chiedevano il rientro del capitale prestato con interessi annessi. Ormai era sul lastrico, ridotto in povertà senza più via di scampo. E così, a fronte di altre soluzioni, la vittima aveva scelto la strada della fuga: aveva detto addio a Sassuolo, al suo lavoro, agli affetti ed era emigrato in Irlanda. Pensava di rifarsi una vita, di non essere rintracciabile dagli aguzzini. Ma in Irlanda, invece, lo hanno raggiunto gli agenti della polizia e i militari della Finanza, che attraverso il database degli italiani emigrati all’estero sono riusciti ad individuarlo. Lo hanno così convocato a Sassuolo per poter verbalizzare le sue dichiarazioni. E quella chiacchierata ha aperto un altro squarcio nella già più che accertata pericolosità del “sistema Ambrisi”.

«Se sapete, denunciate senza paura»
Con il contributo delle vittime potrebbero aprirsi nuovi filoni d’indagine

SASSUOLO. Gli inquirenti hanno fatto il primo passo, arrestando Rocco Ambrisi e Adamo Bonini. Ma la speranza, palesata dal questore Garramone (nella foto) e dal vice-questore aggiunto, Michele Morra, che dirige il Commissariato di Sassuolo, è quella che i fermi possano infrangere il muro di omertà e paura che in città è palese e conosciuto. «Se avete subito minacce o estorsioni o siete vittime di un reato - si appellano ai cittadini - non abbiate timore di denunciare. L’indagine potrebbe essere non ancora conclusa».

Vicenda “Intoccabili”: “Pistoni non deve dimettersi” parola del premier Renzi. Intanto a Roma il PD volta le spalle a Marino

Caffedistretto - 9 ottobre 2015 -

Una vera e propria bufera si abbatte su Sassuolo: la vicenda Intoccabili coinvolge criminalità, uomini dello Stato ed esponenti politici. Il sodalizio Ambrisi-Bonini poteva contare su “coperture” importanti per potere controllare diverse attività imprenditoriali attraverso estorsione ed usura. In questo senso al servizio degli Intoccabili c’era secondo i pm che coordinano le indagini diverse figure: dal brigadiere Giuseppe Cucinotta del Reparto operativo dei Carabinieri di stanza a Modena che operando su diverse inchieste giudiziarie aveva la possibilità di esercitare pressioni sul corpo inquirente. In questo senso il brigadiere succitato accompagnava Adamo Bonini presso un magistrato in servizio a Piacenza ma ex sostituto procuratore a Modena: si tratterebbe del dottor Tibis Bernardi Giuseppe il quale per il momento non è coinvolto nella vicenda tanto da non essere indagato. Appoggio e sostegno venivano forniti al gruppo criminale dall’ex comandante del Reparto operativo dell’Arma di Modena, Mario Marino, per il quale sono stati avviati fascicoli per la disponibilità del militare a pilotare certi procedimenti fiscali presso un funzionario dell’Agenzia delle entrate della città geminiana. Per il momento il puzzle ricostruito in Procura mette nei guai anche un altro carabiniere, Rocco Gerardo Caforio, il quale svolgeva un ruolo pratico nel fornire informazioni altrimenti segrete e svelare notizie attraverso “soffiate” in merito ad intercettazioni tanto telefoniche quanto ambientali. Poi ci sono le tessere politiche: bisognerà capire le responsabilità in ordine a certi contatti tra il sodalizio criminale e la politica. A proposito, il premier Matteo Renzi intervenendo sul “terremoto” Sassuolo ha dichiarato che il primo cittadino Claudio Pistoni deve rimanere al suo posto perché non coinvolto direttamente nello scandalo. A livello personale è vero, ma ci sono diverse questioni che vanno oltre e aprono scenari diversi; in queste ore sono arrivate le dimissioni di Ignazio Marino, dal diretto interessato in precedenza sempre rifiutate, ecco trovare un piccolo parallelismo con la Capitale in questa vicenda dai contorni differenti non è impossibile soprattutto guardando al finale… Questione di fiducia…

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