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ASPROMONTE EMILIANO
LA RASSEGNA STAMPA

30 maggio 2023 - scatta l'operazione

"Aspromonte emiliano", dalla Colombia all’Emilia-Romagna, con la collaborazione di criminali cinesi- Video

Gazzetta di Parma - 30 maggio 2023

Dalla Colombia all’Emilia-Romagna, con la collaborazione di criminali cinesi. È stata denominata 'Aspromonte emiliano" l’operazione, condotta dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Bologna, che ha portato il Gip del tribunale di Bologna, Alessandro Gamberini, ad eseguire 41 misure cautelari - 37 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e un obbligo di dimora -, di cui 19 nel territorio emiliano-romagnolo.

Le persone coinvolte sono ritenute, a vario titolo, responsabili di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (con le aggravanti della transnazionalità, della disponibilità di armi e dell’aver agito per agevolare associazioni mafiose), di trasferimento fraudolento di valori e di riciclaggio e autoriciclaggio. Inoltre, l’operazione - alla quale ha collaborato anche l'Homeland security investigations (Hsi) degli Stati Uniti d’America - ha portato anche a sequestri preventivi, finalizzati alla confisca, per un valore di oltre 50 milioni di euro: le Fiamme gialle hanno sequest rato 44 tra immobili e terreni, 17 auto, 354 rapporti bancari e 80 tra società, attività commerciali e partecipazioni sociali. Le investigazioni si sono sviluppate per due anni e hanno fatto emergere l’esistenza di un sodalizi o criminale composto da soggetti appartenenti o contigui alla 'ndrangheta reggina (le 'ndrine «Romeo Staccu» e «Giorgi» di San Luca) e crotonese (Locale di Cirò Marina).

Secondo le ricostruzioni, i soggetti operanti in Italia avevano un contatto diretto con i cartelli della droga colombiani, tra cui il «cartello del golfo», ai quali, per la cessione della droga, destinavano denaro in contante che veniva fornito dai criminali cinesi. Questi, infine, ricevevano i soldi in  conti correnti in Cina e a Hong Kong con una guadagno del 6% sul prestito concesso. Il traffico riguardava principalmente la cocaina, ma anche l’hashish e la marijuana: importazioni e cessioni per più di 1.000 kg di cocaina, oltre 400 kg di hashish e 92 kg d i marijuana. 

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Ndrangheta e mafia cinese alleate - Tra Reggio e Parma 1.200 kg di cocaina - Quaranta arresti della GdF in 14 province

Reggio Report - 30 maggio 2023

Dall’alba di stamani oltre 160 militari della Guardia di Finanza di Bologna sono impegnati, insieme al Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata e ad altri Reparti, nell’esecuzione di 41 ordinanze di custodia cautelare di 37 in carcere e 3 agli arresti domiciliari oltre a un obbligo di dimora, in 14 province tra cui Reggio Emilia, Parma e Crotone.

L’operazione è in corso a Bologna, Reggio Emilia, Modena, Parma, Milano, Cremona, Brescia, Pavia, Livorno, Roma, Foggia, Potenza, Crotone e Reggio Calabria, a carico di soggetti appartenenti alla ndrangheta di Reggio Calabria e del crotonese, dedita al traffico internazionale di cocaina, hashish e marijuana. Accertato un traffico di almeno 1.200 chili di cocaina e di quasi mezza tonnellata di hascisc, che hanno reso al crimine decine di milioni di euro. Al vertice un potente boss di San Luca, arrestato nel 2021, che aveva affidato la gestione del mercato nazionale calabresi stabilmente insediati nel reggiano e nel parmense. Al riciclaggio del denaro provvedeva una rete di cittadini cinesi, con un collaudato sistema di bonifici a catena verso entità dell’Estremo Oriente. Sequestrati beni immobili, partecipazioni, relazionin finanziarie per oltre 50 milioni di euro.

Le misure cautelari, disposte dal G.I.P. del Tribunale di Bologna Alberto Gamberini, costituiscono l’epilogo di complesse indagini di polizia giudiziaria dirette dal sostituto procuratore Roberto Ceroni della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, coordinate dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, alla luce di convergenze emerse con altri filoni investigativi delle Procure della Repubblica di Firenze, Potenza e Trento, e condotte, per quasi 2 anni, dagli specialisti del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna. 

Il leader dell’associazione è stato identificato in un soggetto, già noto alle cronache, ai vertici della ‘ndrina “Staccu” di San Luca, latitante in Spagna dal 2018 e tratto in arresto a marzo 2021.

Nel periodo di latitanza, il boss ha tirato le fila di una vastissima rete di narcotraffico internazionale in grado di gestire centinaia di chilogrammi al mese, in affari con i potentissimi cartelli Sudamericani e alcuni dei più noti e pericolosi latitanti italiani.

La droga giungeva nei porti dell’Europa settentrionale, in particolare Anversa e Rotterdam, per essere subito dopo distribuito in tutto il vecchio Continente. Il boss aveva affidato la gestione del mercato italiano ai promotori dell’associazione, soggetti calabresi da anni residenti nel Parmense e nel Reggiano che, avvalendosi di corrieri e di imprese compiacenti, erano in grado di occuparsi dei traffici illeciti della Cosca in tutta la Penisola.

Nel corso delle indagini, sono stati ricostruiti approvvigionamenti e cessioni per quantitativi che sfiorano i 1.200 kg di cocaina, i 450 kg di hashish e i 95 kg di marijuana, che nel complesso hanno fruttato all’associazione decine di milioni di euro, parzialmente reimpiegati in 14 società intestate a prestanome e utilizzate anche per “mascherare”, in pieno periodo di lockdown pandemico, i trasporti di droga attraverso false bolle di accompagnamento.

Un ruolo attivo nel riciclaggio sistematico dei proventi illeciti del sodalizio criminale è stato ricoperto da una rete di soggetti di nazionalità cinese attraverso il sistema “informale” di trasferimento di denaro. In particolare, dopo aver prelevato ingenti somme di contanti, i cittadini cinesi provvedevano a inviarlo, attraverso una lunga catena di bonifici, ad aziende commerciali ubicate in Cina e Hong Kong. Queste ultime, attraverso articolati meccanismi di “compensazione”, erano in grado di recapitare il denaro ai broker del narcotraffico e agli stessi cartelli sudamericani attraverso “agenti” residenti all’estero.

Oltre alle 41 ordinanze di custodia cautelare, le Fiamme Gialle bolognesi hanno sequestrato 44 immobili e terreni, 17 autoveicoli/motocicli, 354 rapporti bancari e 80 fra società, attività commerciali e partecipazioni sociali, per un valore complessivo stimato di oltre 50 milioni di euro.

Cocaina a tonnellate - Operazione Aspromonte emiliano : nel reggiano 15 arresti su 40 in mezza Italia

Reggio Report - 31 maggio 2023

31/5/2023 – Sono ben 15 le persone arrestate in provincia di Reggio Emilia sulle quaranta arrestate in mezza Italia nel corso dell’operazione “Aspromonte emiliano”, condotta ieri dalla Guardia di Finanza di Bologna in collaborazione con lo Scico (Servizio centrale di investigazione criminalità organizzata) sotto la direzione della Dda felsinea e il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia. Operazione che ha permesso di smantellare un colossale traffico di cocaina e altre droghe a tonnellate, gestito da calabresi di Reggio e di Parma, che a loro volta rispondevano a Giuseppe Romeo “Maluferru”, boss 37enne della ‘ndrina Staccu di San Luca. Grazie al frenetico brokeraggio con i cartelli sudamericani di Romeo, arrestato in Spagna nel 2021, ma ora latitante, la droga arrivava nei porti dell’Europa settentrionale, in particolare Anversa e Rotterdam, per essere poi distribuita in tutta Europa. La gestione del mercato italiano era affidata a ‘funzionari’ calabresi da anni residenti nel parmense e nel reggiano, imparentati “alla lontana” anche con alcuni protagonisti di Aemilia: grazie a basi logistiche dislocate in varie regioni (Calabria, Lazio e Lombardia), e grazie a corrieri e imprese compiacenti anche nel territorio modenese, tutti erano in grado di occuparsi dei traffici illeciti della cosca in tutta la penisola. E lo facevano – come hanno sottolineato i vertici delle Fiamme Gialle a Bologna – “con indiscussa professionalità e disinvoltura".

E’ noto del resto che la ndrangheta basa la sua forza e la sua crescita incessante a livello globale su una forma di espansione “a frattali” basata sulla famiglia inteso in senso allargato, un clan somigliante alle tribù dei regni appennini arcaici.

Nel complesso sono state eseguite 41 ordinanze di custodia cautelare (37 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e un obbligo di dimora). Gli arresti riguardano le province di Bologna, Reggio Emilia, Modena, Parma, Milano, Cremona, Brescia, Pavia, Livorno, Roma, Foggia, Potenza, Crotone e Reggio Calabria, tutti a carico di persone appartenenti a un’associazione a delinquere composta da italiani appartenenti o contigui alla ‘ndrangheta reggina e crotonese, specializzata appunto nel traffico internazionale di cocaina, hashish e marijuana.

Come accennato, dei 40 arresti (dieci persone erano già in carcere), ben 19 riguardano l’Emilia-Romagna di cui 15 la sola area di Reggio Emilia. Gli stranieri coinvolti sono tre, di nazionalità cinese, di cui due a Bologna e uno a Parma.

Le misure cautelari sono state disposte dal gip di Bologna, Alberto Gamberini, dopo quasi due anni di indagini dirette (a cura degli specialisti del Gico) dal pm Roberto Ceroni della Direzione Distrettuale Antimafia, su coordinamento della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.

Si è ricostruito tutto, in particolare, grazie all’acquisizione delle chat criptate della piattaforma Sky Ecc, smantellata nel 2021 a seguito dell’operazione di un Joint Investigation Team sotto l’egida di Europol.

Durante la latitanza, in particolare, Romeo era in grado di gestire centinaia di chili di droga ogni mese dei cartelli sudamericani (fra cui il Primeiro Comando da Capital brasiliano e organizzazioni criminali colombiane, peruviane, messicane e boliviane) e con alcuni altri latitanti italiani. Sono stati ricostruiti traffici che sfiorano i 1.200 chili di cocaina, i 450 di hashish e i 95 di marijuana: avevano fruttato all’associazione decine di milioni di euro, parzialmente reimpiegati in 14 societa` intestate a prestanome e utilizzate anche per mascherare, in lockdown per il Covid, trasporti di droga attraverso false bolle di accompagnamento. La rete incaricata di lavare e reinvestire il denaro sporco si estendeva sino all’ Estremo Oriente, in particolare Cina e Hong Kong, attraverso il fei ch’ien (un sistema ‘informale’ di trasferimento di denaro simile alle lettere di cambio medievali). Dopo aver prelevato grandi somme di contanti, i complici cinesi provvedevano a inviarlo, attraverso una lunga catena di bonifici, ad aziende commerciali in Cina e Hong Kong.

Operazione Aspromonte emiliano, fiumi di droga e preghiere alla Madonna di Polsi

Quotidiano del sud 1 giugno 2023 - di Antonio Anastasi

Il boss di San Luca si faceva chiamare “Nudol” come De Niro in “C’era una volta in America”. “Ragazzo” di Melissa acquistava grosse partite

“Pronti i due chili”. “Pacco venduto”. Creavano i gruppi sulla chat criptata SKY ECC per condurre indisturbati i loro affari di droga. Gennaro Lonetti da Melissa era uno dei più fidati uomini di Giuseppe Romeo, l’ex super latitante di San Luca ritenuto al vertice dell’organizzazione criminale dedita al narcotraffico smantellata dalla Dda di Bologna e dalla Guardia di finanza, l’altra notte, con l’operazione Aspromonte Emiliano. Almeno secondo gli inquirenti.

Lonetti, però, si rapportava anche con i cutresi Francesco e Salvatore Silipo, fratelli. Siamo in Emilia, terra colonizzata dalla ‘ndrangheta, soprattutto quella di matrice cutrese, ma Lonetti è ritenuto vicino al “locale” di Cirò (il padre, Francesco, è stato coinvolto in alcune operazioni antimafia). Il loro capo era Romeo che, dal covo spagnolo della latitanza, forniva indicazioni. Si faceva chiamare “Nudol”, Romeo, almeno nella chat numero 14 repertata dagli inquirenti, e chissà se la fascinazione proviene dall’immaginario protagonista, interpretato splendidamente dal grande Robert De Niro, di “C’era una volta in America”, il capolavoro di Sergio Leone che ripercorre le vicende di un gruppo di gangster.

Lonetti, nella conversazione intercettata, era, invece, il “ragazzo”, che si sarebbe dovuto recare a Bergamo a prelevare 30 chili di stupefacenti di Romeo, regista dell’operazione, ma, date le restrizioni dell’era Covid, doveva passare prima da “Salvo” (Silipo). Questi informava Lonetti che l’hashish doveva essere portato a Roma e poi in Calabria. «Il fumo che vai a prendere domani quando scendi giù lo lasci a Roma, poi vai in Calabria a caricare 25 colli, mi raccomando domani alle 5.30 alzati». Quindi, il successivo rientro a Reggio Emilia. “Bello apposto, arrivato”. Acquistava e riceveva droga per conto di Romeo e poi la rivendeva. E la custodiva, a Reggio Emilia. Soprattutto cocaina.

Lonetti faceva sempre acquisti rilevanti: uno, due, sette, dieci chili alla volta. Soprattutto tra il marzo e il maggio 2020, addirittura in piena pandemia. La droga giungeva a bordo di camion dalla Calabria. A lui si è arrivati perché si rivolse a un agente infiltrato della Guardia di finanza chiedendo di svolgere operazioni di prelievo per 260mila e 300 mila euro. Proprio analizzando i suoi molteplici contatti, e quelli di altri intermediari del falso broker, gli investigatori della Guardia di finanza hanno poi individuato e disarticolato una rete del narcotraffico facente capo al latitante  Romeo, esponente di primo piano dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di San Luca; uno in grado di movimentare enormi flussi di cocaina e rapportarsi con i cartelli dei narcos sudamericani.

Nonostante l’arresto in Spagna del suo capo, avvenuto in Spagna nel marzo 2021, il sodalizio avrebbe avuto la forza di riorganizzarsi e rinvenire nuovi canali di approvvigionamento. A un certo punto, dopo l’arresto di alcuni uomini ritenuti vicini a Romeo, il gruppo decise, infatti, di soprassedere e passò all’hashish.

I messaggi, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sono inequivoci, anche quando sorgono fibrillazioni per la scarsa qualità. Il capo ne parla con “Zio Mostro” e “Piranha”. “Quei pacchi sono rotti”. I panetti marchiati “Mercedes” furono pertanto restituiti. Nelle chat si recriminava per gli errori,  e spunta pure una preghiera alla Madonna della Montagna del santuario di Polsi, poi risultata vana perché i carabinieri avevano “fatto gol alla grande”.  «Fussi a vergine i faci sta grazia, fussi a vergine da muntagna santa», diceva Giuseppe Giorgi, uno che porta un cognome dell’aristocrazia della ‘ndrangheta sanlucota, rivolgendosi a quella che veniva ritenuta la protettrice, appunto, degli ‘ndranghetisti.

Ma è una religiosità, quella dei boss, soltanto esteriore e da cui trapela una morale doppia, perché nella stessa conversazione si arriva a paventare una rappresaglia armata contro i carabinieri. Altro che preghiere.

Droga e clan, 64 indagati

Gazzetta di Reggio - 3 giugno 2023 - di Tiziano Soresina

Si è ampliata e chiusa l’inchiesta, coinvolte anche due donne reggiane Incontri (a Santa Vittoria), cessioni a clienti di Cadelbosco e Sesso

Reggio Emilia - Una morsa chiusasi a tamburo battente sull’operazione “Aspromonte emiliano” relativa al traffico internazionale di stupefacenti in odore di ’ndrangheta reggina e crotonese, con il Reggiano come base logistica nonché sede operativa.
Dopo aver ottenuto l’applicazione delle misure restrittive (37 persone in carcere, 3 agli arresti domiciliari e una sottoposta ad obbligo di dimora), il pm antimafia Roberto Ceroni ha infatti chiuso l’indagine. E da questa “mossa”del magistrato della Dda di Bologna emerge chiaramente come gli indagati siano molti di più: oltre ai 41 raggiunti dalla misura cautelare, altri 23 sono coinvolti a piede libero. Quindi sono complessivamente 64 gli indagati, con due donne di Reggio Emilia (rispettivamente di 29 e 30 anni) che si vanno ad aggiungere ai già noti 15 arrestati nella nostra provincia (per non parlare di chi, pur non essendo domiciliato o residente, gravitava spesso nel Reggiano). Tutto ciò per dire che Reggio Emilia e dintorni si confermano un terreno molto fertile per gli affari ’ndranghetisti, stavolta non marchiati Grande Aracri (come emerso in tante operazioni, Aemilia su tutte) ma per gli inquirenti riferibili alle ‘ndrine Romeo “Staccu” e Giorgi di San Luca (Reggio Calabria) e crotonese (la locale di Cirò Marina). E dai 186 capi d’imputazione gli accertamenti investigativi in chiave reggiana non mancano. Impressionanti i quantitativi di droga giunti nel Reggiano, qui in sosta per lo stoccaggio (in locali ritenuti sicuri) e poi venduti: per esempio intorno al 5 giugno 2020 dieci chili di “polvere bianca” sarebbero stati venduti a due soggetti diversi (gli incontri a Santa Vittoria di Gualtieri), mentre due clienti (uno di Cadelbosco Sopra e l’altro di Sesso) avrebbero comprato altri forti quantitativi di cocaina fra il 9 e il 10 luglio 2020, inoltre un cliente di Sesso (sempre lo stesso?) acquistava 5 chili di marijuana a metà luglio 2020.

Come si può notare, traffici illeciti avvenuti in piena pandemia, aggirando le restrizioni: «Le mafie non si fermano di fronte a nulla. Non si sono fatte intimorire dal covid» commenta il generale di divisione Ivano Maccani, comandante regionale dell'Emilia-Romagna della Guardia di finanza.
Droga che sarebbe arrivata dalla Calabria sin qui viaggiando su camion. Altri smerci di stupefacenti riguardano Modena (collocati dai finanzieri nell’autunno 2020), di mezzo anche una donna modenese 43enne che è indagata a piede libero, inoltre di mezzo due società con sede a Castelfranco Emilia e Spilamberto (intestate a prestanomi per mascherare i trasporti di stupefacenti) e un acquirente di Vignola (però non identificato).
Gente che ha a disposizione delle armi, perché gli investigatori accusano sei indagati di averne detenuto illegalmente. Un elenco fatto di un fucile, varie pistole, nove armi lunghe da guerra, due silenziatori.

Sono stati ricostruiti traffici che sfiorano i 1.200 chili dicocaina, i 450 di hashish e i 95 di marijuana: avevano fruttato all'associazione decine di milioni di euro.
Durante la latitanza, in particolare, Giuseppe Romeo (boss di San Luca) era in grado di gestire centinaia di chili di droga ogni mese dei cartelli sudamericani (fra cui il Primeiro Comando da Capital brasiliano e organizzazioni criminali colombiane, peruviane, messicane e boliviane) e con alcuni altri latitanti italiani.

Droga a fiumi, sequestri di persona e teste mozzate. Il narcotraffico internazionale che parla emiliano e calabrese

28 giugno 2023 - di Paolo Bonacini

L’hanno chiamata “Aspromonte Emiliano”, per segnalare forse la forza combinata delle due regioni. La recente indagine di competenza della DDA di Bologna (sostituto procuratore Roberto Ceroni) contesta a 37 indagati su 45 l’associazione criminale finalizzata al narcotraffico e ad accomunare la maggior parte di loro sono le terre d’origine (Calabria) e quelle di residenza (Emilia-Romagna). Due regioni tra le quali, almeno dal 2019 al 2021, scorreva un’autostrada virtuale dedita al trasporto della droga per quantitativi e valori inimmaginabili. L’organizzazione è stata capace di movimentare, gestire e distribuire, in meno di due anni, più di una tonnellata di cocaina, oltre quattro quintali di hashish e un quintale di marijuana. Dato il prezzo della cocaina al consumo, che oscilla tra gli 80 e i 100 euro al grammo, il valore commerciale della sola polvere bianca supera i 100 milioni di euro.

Quell’autostrada su cui viaggiavano la droga e soldi che generava ha unito Reggio Calabria a Reggio Emilia grazie alla capacità criminale e alle relazioni internazionali del leader indiscusso dell’organizzazione: Giuseppe Romeo Maluferru, detto anche U’Nanu. È figlio di Antonio Centocapelli e nipote di Sebastiano, il capo storico della ‘ndrina di San Luca. Romeo trattava direttamente con alti esponenti della criminalità colombiana, brasiliana, boliviana ed ecuadoregna l’acquisto della merce. Trattava direttamente la rivendita con le potenti cosche della sua Calabria, ma anche con i Casamonica, la mafia albanese e le ‘ndrine lombarde. Comprava e rivendeva container di droga destinati ad approdare a Rotterdam dopo la traversata oceanica o al porto di Gioia Tauro, dove l’ultimo sequestro effettuato dalla DDA di Reggio Calabria nel maggio scorso ha portato alla luce trenta quintali di cocaina purissima nascosta tra 12 tonnellate di banane.

Giuseppe Romeo gestiva gli affari dalla Spagna dove viveva latitante dal 2018, senza vincoli che non fossero l’arricchimento personale e dei fedeli compagni d’avventura, ora in galera assieme a lui. Toccava a loro prelevare la droga in Calabria, trasferirla in Emilia-Romagna, nasconderla nei depositi della pianura reggiana, in attesa di soddisfare la domanda dell’intero e ricchissimo nord Italia. Uno di questi magazzini, a partire dal 2021, era un anonimo casolare a Campagnola Emilia (RE) di proprietà dell’ex carabiniere Costanzo Sanna, residente a Reggiolo, che “accetta con entusiasmo”, dicono gli atti, la nuova attività.

La sede dell’azienda era dunque Reggio Emilia. Dei 190 capi di imputazione contestati alla fine delle indagini ben 125 fanno riferimento a reati commessi in Emilia-Romagna e dei 37 accusati dell’associazione criminale 14 risiedono nella città del Tricolore. La provincia che ha subito la forza del sodalizio mafioso dei Grande Aracri e Sarcone, incastrato dal processo Aemilia, era anche il centro nevralgico di smistamento della droga di provenienza sudamericana. “Il primo nucleo dell’associazione si riscontrava a Reggio Emilia tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020” dice l’ordinanza di custodia cautelare, ma i rapporti storici tra Giuseppe Romeo e i promotori della provincia emiliana (Pietro Costanzo di Quattro Castella, Giuseppe Cistaro di Sant’Ilario, Francesco Silipo di Gualtieri) risalgono a tempi più lontani. Silipo e Cistaro si recano in Spagna ad incontrare Romeo durante la sua latitanza e a documentare uno di questi incontri a Barcellona, nel novembre 2019, è per ironia della sorte la denuncia che Rosamaria Oliviero, moglie di Cistaro, presenta alle autorità spagnole quando le rubano la borsetta. Quattro mesi dopo sono Costanzo e Silipo a raggiungere Romeo per chiudere l’accordo di un acquisto di 30 chili di cocaina al mese per un anno, al prezzo di 29mila euro al chilogrammo. Fanno 10 milioni e mezzo in un solo botto e in quella occasione, dicono gli inquirenti, Silipo viene battezzato da Romeo diventando il numero due dell’organizzazione quando Pietro Costanzo finisce in galera.

Francesco Silipo è conosciuto con diversi soprannomi: Ballocco, Quattr’occhi, Bastarda Galera. È nato a Crotone nel 1988 ma risiede a Gualtieri, sulle rive del Po, assieme al suo fedele aiutante Gennaro Lonetti, altro arrestato come membro di spicco dell’organizzazione. Francesco aveva un fratello di nome Salvatore, ucciso nell’ottobre 2021 con un colpo di pistola alla testa nell’officina Dante Gomme a Cadelbosco Sopra, in provincia di Reggio. Aveva 29 anni. Gli sparò Dante Sestito, il titolare dell’azienda presso la quale Salvatore lavorava, con una 44 Magnum rubata. All’omicidio assistette anche Francesco, che riuscì a scappare prima di fare la fine del fratello. Dante sparò alla presenza del proprio figlio Antonio Sestito, allora agli arresti domiciliari perché considerato un capo dell’organizzazione criminale dedita alla falsa fatturazione sgominata dall’indagine Billions, che ha portato alla denuncia di 193 persone. Anche la vittima, Salvatore Silipo, operava nel campo del commercio della droga. Era finito agli arresti domiciliari nell’aprile del 2020 quando i Carabinieri avevano trovato nel suo garage a Santa Vittoria (RE) un laboratorio per il taglio della cocaina.

Quell’omicidio fu dunque un brutale regolamento di conti tra pezzi da novanta della criminalità radicata a Reggio Emilia e due degli indagati di oggi, Gennaro Lonetti e Ottavio Sirto, in una telefonata a cadavere ancora caldo, rimproveravano a Francesco di essere andato all’appuntamento nell’autofficina senza la pistola che si vantava “di avere sempre a portata di mano”. E si chiedevano perché non li avesse avvisati: “Per le minchiate parli, per le cose serie le tiene nascoste”.

L’organizzazione emiliana del narcotraffico era guidata da professionisti del settore, efficienti, esperti. In grado di dialogare attraverso chat crittografate grazie al software canadese Sky Ecc, che li ha fatti lavorare tranquilli fino a quando l’Europol è riuscita a scardinare il sistema nell’ennesima tappa della guerra tecnologica tra crimine e anticrimine.

Ma era anche una organizzazione capace di ricorrere alla violenza e alla brutalità per affermare e difendere i propri interessi. Di ammazzare e sequestrare persone per i soldi, contando anche su di un discreto arsenale di armi che emerge dai relativi capi di imputazione. Nell’agosto 2020 Giuseppe Giorgi manda a suo zio Fortunato, responsabile della distribuzione di droga nel Lazio, l’immagine di una apparecchiata sul tavolo della cucina. La Guardia di Finanza ha identificato sette mitragliatori AK-47 e due Imi Uzi capaci di sparare 600 colpi al minuto, una pistola, due silenziatori, serbatoi e munizioni.

Ma il carico di violenza di cui erano capaci questi personaggi emerge anche senza le foto delle armi. Sono sufficienti le intercettazioni decrittate.

A fine gennaio 2020 Giuseppe Romeo tratta l’acquisto di 330 chilogrammi di cocaina per conto di un gruppo criminale albanese operante in Belgio al quale, come garanzia dell’affare, affida un proprio cugino fino al buon esito della consegna. A vendere è un cartello brasiliano che ha nel proprio libro paga doganieri e operatori portuali in grado di duplicare i sigilli delle autorità sui container per poterli aprire dopo i controlli e inserire la droga tra la merce lecita. A loro Romeo ha già versato 450mila euro di anticipo. Il carico è in partenza dal porto di Callao in Perù e gli addetti alla spedizione assicurano: “Imbarcata e fuori dalle acque nazionali”. Ma qualcosa va storto, perché i container vengo sequestrati dalle autorità sudamericane prima che la nave molli gli ormeggi. Scoppia un finimondo che dura almeno quattro mesi, con minacce di guerra e di morte tra le organizzazioni coinvolte. Gli albanesi in Belgio tengono in ostaggio il cugino di Romeo; gli italiani tengono a loro volta in ostaggio l’uomo di fiducia del venditore sudamericano chiamato Super, i produttori brasiliani della cocaina intimano agli addetti alla vendita di restituire l’anticipo: “Super! Restituisci i soldi sennò già sai cosa succederà, ci ammazzeremo tutti. Perché TU hai confermato che il carico stava sopra la barca, figlio di puttana! Sei stato tu che hai preteso i soldi, il compito di fare uscire la droga era tuo e quindi già lo sai... o pagate, o pagate!”

I messaggi di Giuseppe Romeo a Super sono ancora più drammatici, in lingua spagnola: “Super, tengo el primo mio en manos de esa gente… Tengo mio cugino in mano a quella gente (i Serbi)… Non mi fare prendere brutte decisioni contro la tua gente che ho in mano io… Ascoltami per l’amor di Dio, sei padre come me. Ho il mio sangue in mano a quei serbi in Belgio... Io voglio la testa di quei figli di puttana che hanno detto che la droga era uscita… Super! Te la sei andata a cercare! Ti è piaciuto prendere i soldi da me ma credi che non pagherò 100mila euro per ucciderti?.. Figlio di puttana, ti faccio vedere io se fai le vacanze con i miei soldi, fottendomi. Uomo di merda e senza onore, domani ti fotto io la vita!.. Prendi i soldi ora e portali ai miei uomini. Non un minuto in più, Super, perché io prima cavo gli occhi ai tuoi ragazzi e poi passo a te.”

Quattro mesi di trattative e minacce incrociate, poi Romeo ottiene il pagamento di oltre 400mila dollari americani e rilascia l’ostaggio che i suoi uomini tenevano prigioniero. Decisivo per chiudere la faccenda è stato presumibilmente l’invio di alcune foto mandate da Romeo oltreoceano. Dicono gli atti che si trattava di una testa decapitata con la scritta GT (soprannome di uno dei fornitori della droga) stampata in fronte, e di due mani mozzate.

A chi appartenessero, forse ce lo dirà il processo.

 

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