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THOMAS

LA RASSEGNA STAMPA

Operazione “Thomas”, arriva la commissione di accesso al comune di Cutro

QUICOSENZA.IT - 12 febbraio 2020

Dovrà verificare se esistano situazioni o tentativi di infiltrazione e/o condizionamento da parte della criminalità organizzata

 

CROTONE – La commissione di accesso entra nel comune di Cutro. Sulla base degli elementi emersi a seguito dell’inchiesta, condotta dalla Guardia di Finanza su delega della Dda di Catanzaro, denominata “Thomas”, dalle ordinanze di custodia cautelare, emesse dal giudice per le indagini preliminari di Catanzaro in data 25 novembre 2019 ed eseguite il 15 gennaio scorso, il ministro dell’Interno ha delegato il prefetto di Crotone a disporre la commissione per verificare che esistano situazioni o tentativi di infiltrazione e/o condizionamento da parte della criminalità organizzata.

Il Prefetto di Crotone ha nominato la commissione d’accesso che si è insediata questa mattina ed espleterà l’incarico entro il termine di tre mesi, rinnovabili una sola volta per un periodo massimo di ulteriori tre mesi. La Commissione è composta da Tiziana Costantino, Prefetto in quiescenza, Gianfranco Ielo, Funzionario economico – finanziario in servizio presso la Prefettura di Reggio Calabria e Giovanni Ansaldi, in servizio presso il Comando Provinciale Guardia di Finanza di Crotone.

Inchiesta “Thomas”, scarcerato l’ex direttore di banca

QUICOSENZA.IT - 12 febbraio 2020

Tornano liberi Ottavio Rizzuto, ex direttore banca e Rosario Lerose, ingegnere e imprenditore di Cutro, dopo la decisione Tribunale del riesame di Catanzaro

CROTONE – Rizzuto e Lerose erano stati arrestati il 15 gennaio scorso nell’ambito dell’operazione “Thomas” coordinata dalla Dda di Catanzaro e il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha annullato le ordinanza di custodia cautelare emesse nei loro confronti dal gip di Catanzaro su richiesta della Dda.

Rizzuto, dopo l’arresto, si trovava ai domiciliari su disposizione del gip, mentre Lerose era già libero in quanto lo stesso gip aveva revocato l’arresto disponendo il divieto di dimora in Calabria ed era stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Crotone con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. A Rizzuto è contestato di aver agevolato la cosca Grande Aracri di Cutro affidando una serie di appalti all’azienda di Rosario Lerose considerata vicino al clan quando, dal 2010 al 2014 ha diretto l’ufficio tecnico del Comune di Cutro. Rizzuto, che fino all’arresto era presidente del Consiglio di amministrazione della Banca di credito cooperativo Crotonese, è stato considerato dalla Dda contiguo alla cosca anche perché lui stesso lo avrebbe affermato in una conversazione intercetta.

Al riguardo, gli avvocati Tiziano Saporito e Sandro Furfaro, nella memoria difensiva hanno sostenuto che Rizzuto non usa mai il termine contiguità ed hanno parlato di omissioni ed errori tra il testo trascritto dalla Pg e il testo integrale delle conversazioni intercettate che modificherebbero il senso del discorso. Per la posizione di Lerose, il difensore, l’avvocato Mario Nigro, ha depositato una serie di sentenze del Tar e del Consiglio di Stato su ricorsi presentati dallo stesso imprenditore contro il Comune di Cutro che, a suo avviso, dimostrano come gli appalti siano stati ottenuti legittimamente e senza alcun favore da parte delle cosche o di Rizzuto.

Ndrangheta, la supercosca di Cutro, s’indaga anche sul voto di scambio politico-mafioso

Il Quotidiano del Sud - 9 febbraio 2020

CUTRO – Voto di scambio elettorale politico-mafioso: è l’oggetto di un’indagine in corso dal 2016, anno delle elezioni comunali a Cutro, a carico, tra gli altri, del cardiologo Alfonso Sestito, già in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, l’avvocato Domenico Grande Aracri, fratello del capocrimine ergastolano Nicolino Grande Aracri, già coinvolto nellle inchieste Kyterion ed Aemilia ma uscitone rispettivamente con un proscioglimento e un’assoluzione, l’imprenditore Massimo Tambaro, che si era candidato a sindaco con “Patto civico per Cutro” ed attualmente è coordinatore cittadino di Forza Italia, e l’architetto Antonio Pallone, già balzato all’attenzione nella stessa inchiesta Aemilia in relazione al cosiddetto Piano Cutro, con riferimento agli investimenti programmati dalla super cosca.

L’ipotesi di reato, come emerge dalle carte ormai discoverate, trae origine da attività di intercettazione svolte nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza di Crotone e coordinata dal pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio che nelle settimane scorse ha portato all’arresto dei presunti colletti bianchi del clan nell’ambito dell’operazione Thomas, tra i quali il medico che proprio in seguito alla misura cautelare è stato sospeso dal Policlinico Gemelli di Roma.

«Ci hanno fatto prima 300 favori, poi sono andati Mimmo Grande Aracri, Pallone e Tambaro e ci hanno detto: perché ti devi candidare tu, così hanno fatto e io stanotte non ho dormito… ho detto ad Antonio se dovesse succedere li denuncio tutti, non possiamo accettare perché questi condizioneranno tutta la campagna elettorale», raccontava, peraltro, l’ex sindaco Salvatore Migale – che si ritrova indagato anche lui, ma nell’inchiesta Thomas, per concorso in abuso d’ufficio con l’aggravante mafiosa e fu intercettato a lungo in relazione a quest’ipotesi insieme all’ex dirigente dell’area tecnica del Comune, Ottavio Rizzuto, la cui posizione si è poi aggravata fino all’arresto per concorso esterno in associazione mafiosa – con riferimento a presunte pressioni per far ritirare una candidata della lista “Insieme per Cutro”, con candidato a sindaco Antonio Lorenzano. Nessuna denuncia fu mai presentata.

«Questo con la collaborazione di Sestito, perché lavora là la ragazza». Sestito, sempre secondo il racconto che fa Migale durante uno dei colloqui intercettati, avrebbe colto l’occasione di un convegno scientifico per “presentare” alcuni candidati.

«Oltre al farmaco presento due candidati, uno è Rodio e l’altro è Pina Sestito, no Pina Sestito non è… quella là ha fatto di testa sua». Pina Sestito, cognata del medico, è stata candidata con la lista “Insieme per Cutro”. Anche Franco Rodio, ginecologo, è cognato di Sestito: lui però si era candidato con “Patto civico”. Nessuno dei due sarebbe stato poi eletto. In un’altra conversazione Migale e un suo interlocutore osservano che durante il convegno scientifico erano presenti esponenti della lista di Tambaro e che nei pressi del luogo del convegno era stata notata l’auto dell’avvocato Grande Aracri. Ma ci sono anche intercettazioni relative a un presunto accordo politico, subito dopo le elezioni di giugno, sulla presidenza del consiglio comunale da affidare a Tambaro, anche se in realtà tale figura non fu poi designata nell’ambito della civica assise. Un contesto, evidentemente, ritenuto dagli inquirenti meritevole di approfondimenti.

Supercosca di Cutro, le rivelazioni del pentito:
«Progetto delle altre famiglie per scalzarci dal comando»

Il Quotidiano del Sud - 26 gennaio 2020

CUTRO (CROTONE) – Il pericolo numero uno per la super cosca Grande Aracri
sarebbe quel ragazzino scampato all’agguato in cui morì suo nonno Antonio Dragone,
assassinato nel maggio 2004 da un commando armato di bazooka,
«graziato perché troppo giovane»: perché perfino la “provincia” di ‘ndrangheta
che comanda su mezza Calabria e parte dell’Emilia, della Lombardia e del Veneto temeva
la riorganizzazione delle altre famiglie e le vendette. A partire da quella di Antonio Ciampà,
l’ex ragazzino che oggi forse è salvo perché in carcere per un omicidio a cui partecipò da
minorenne, quello di Salvatore Blasco, e della sua famiglia: «in accordo con i papaniciari
di Mico Megna e i Mannolo stanno da tempo meditando di scalzare il potere dei Grande Aracri».

Parola del pentito Giuseppe Liperoti, le cui rivelazioni, agli atti dell’inchiesta “Thomas”,
gettano luce sulla ridefinizione degli equilibri mafiosi nel territorio. Equilibri piuttosto delicati se,
qualora fosse riscontrato il racconto del collaboratore di giustizia, suo zio
Domenico Grande Aracri, l’avvocato fratello del boss Nicolino, convocò a casa sua
uno dei suoi parenti, tra i pezzi grossi del clan, per lo “scompiglio” che avrebbe creato
una presunta relazione extraconiugale con una componente della famiglia Ciampà. Il presunto responsabile dello scompiglio, durante le liti che ne seguirono, «minacciò con una pistola, sparando, alcuni membri della famiglia Ciampà».

L’avvocato avrebbe pertanto ordinato proprio a Liperoti e al fratello Antonio Grande Aracri di portare l’irruento al suo cospetto. «Lo malmenò e ci disse che non avremmo dovuto creare problemi con i Ciampà di via Nazionale». Trattavasi di «famiglia alleata» e l’avvocato non voleva che «questo comportamento potesse minare una storica alleanza e i due ceppi familiari dei Ciampà (ci sono anche quelli di contrada Scarazze, ndr) potessero riunirsi contro i Grande Aracri». Insomma, sarebbe un dead man walking quell’ex ragazzino, oggi poco più che trentenne, ma allora, quando fuggì, con negli occhi lo scempio, dall’auto blindata Lancia “K2” su cui viaggiava il nonno, tra le collinette di contrada Vattiato che Pasolini ribattezzò “dune gialle”, era «troppo giovane e si decise di posticipare la sua eliminazione per eseguirla in maniera meno eclatante, perché erano pendenti troppi processi per la mia famiglia», narra Liperoti.

Un piano poi “tralasciato” ma «Antonio, il fratello Giuseppe e lo zio Salvatore Arabia – sempre per il pentito – stanno organizzando la vendetta delle persone assassinate in passato, grazie a questo fatto ho percepito l’intenzione dei Ciampà di uccidermi». Per esempio aveva notato l’auto di Ciampà vicino all’abitazione di una persona che traffica in armi in Germania, per cui la pax sarebbe stata soltanto fittizia. Ma i timori di una ripresa degli anni di piombo, dopo un periodo di relativo di quieto vivere, sono stati acuiti dai rinvenimenti di arsenali di qualche anno fa. «In merito a Ciampà posso riferire che hanno fatto un furto di armi in una casa in località Banda, poi sequestrate dalle forze di polizia», armi peraltro riconducibili a un appartenente alle forze dell’ordine e rinvenute dalla Guardia di finanza, lo stesso reparto investigativo che ora aggredisce i colletti bianchi della super cosca. Ma i dead man walking erano tanti, e nell’elenco era finito anche il solito Romolo Villirilo, uno dei capi della filiale emiliana del clan che il boss riteneva responsabile di mala gestio dei proventi, e Salvatore Arabia, che dopo un fallito agguato nel 2000 venne poi ucciso tre anni dopo. Anche Liperoti parla di colletti bianchi.

Come il commercialista Salvatore Minervino, già balzato nell’inchiesta Aemilia e indicato come «molto vicino alla nostra famiglia», titolare di un’azienda di grondaie «a cui nessuno produce danneggiamenti o quant’altro in virtù della nostra protezione», che per esempio avrebbe sconsigliato Giovanni Abramo, genero del boss, di usare capannoni per un’attività commerciale in quanto avrebbe attirato sospetti, e di un dipendente della Motorizzazione civile di Catanzaro, Salvatore Chiarelli, «molto vicino alle cosche crotonesi» che avrebbe «regolarizzato diversi mezzi rubati per conto di mio suocero Antonio Grande Aracri e di Michele Bolognino».

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