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RETICOLO

LA RASSEGNA STAMPA

Pestaggi, intimidazioni e la pax coi Casalesi. Bologna, la ‘ndrangheta comanda anche in carcere

Corriere di Bologna - 11 novembre 2017

I referenti del clan di Cutro mandanti di violenze e avvertimenti eseguiti dai detenuti. Sette arresti. Coinvolte anche guardie penitenziarie: due ai domiciliari per spaccio

BOLOGNA — Uno sgarro si lava col sangue, in carcere come nel proprio territorio di riferimento. Basta una minima mancanza di rispetto per scatenare la furia del boss. La legge del clan vale perfino dietro le sbarre, un’appendice dove replicare gerarchie criminali e rapporti di forza. A Gianluigi Sarcone, fratello di Nicolino, presunto capobastone della cosca Grande Aracri, il rispetto si doveva solo per la caratura criminale e il cognome che porta. Lo sapevano bene i detenuti napoletani affiliati ai Casalesi con i quali per alcuni mesi del 2015, dopo la retata di Amelia, Sarcone e Sergio Bolognino, fratello di Michele, altro presunto vertice della cosca sotto processo come Sarcone per associazione mafiosa a Reggio Emilia, hanno condiviso la detenzione al carcere bolognese della Dozza.

 

Gerarchie

I napoletani portavano a Sarcone il rispetto che si deve a un capo riconosciuto di ‘ndrangheta. Una questione di gerarchie e supremazia. Per questo quando uno «spesino», un detenuto campano addetto alla distribuzione dei viveri, ha osato rispondere male al cutrese, è partita la spedizione punitiva. Un pestaggio in una cella della sezione alta sicurezza ordinato per l’accusa da Sarcone e Bolognino ed eseguito da due detenuti legati alla camorra, Mario Temperato e Enrico Palummo, zio e nipote, in carcere per estorsioni aggravate dal metodo mafioso nei confronti di un operaio e di un medico. «Dovevano dargli una lezione, hanno mandato uno a fare da palo. Io ero poco lontano, sono entrati in cella e hanno picchiato il ragazzo — ha messo a verbale davanti alla Dda il collaboratore Giuseppe Giglio —. Del resto Sarcone era considerato dai detenuti calabresi, ma anche napoletani, il punto di riferimento in carcere per la sua autorità criminale e non solo perché fratello del boss Nicolino». Un monito per assoggettare e intimorire chi non era allineato. E, infatti, il detenuto pestato si è ben guardato dal denunciare i fatti: «Sono caduto», si è limitato a dire in infermeria.

 

Il nuovo filone d’inchiesta

Sono state le dichiarazioni del primo pentito di Aemilia il motore del nuovo filone d’inchiesta «Reticolo» sulla cosca egemone in Emilia, che ieri ha portato all’ordinanza di custodia cautelare per 7 persone: 4 in carcere, 3 ai domiciliari. Il provvedimento ha raggiunto Sarcone e Bolognino in carcere a Reggio Emilia, mentre Palummo e Maiorano sono stati fermati in Campania dove erano in sorveglianza speciale. I pm antimafia Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, che hanno coordinato le indagini del Ros dei carabinieri trovando riscontri alle dichiarazioni di Giglio, accusano i primi due di essere mandanti del pestaggio eseguito dai napoletani. Rispondono tutti di violenza privata e lesioni aggravate dal metodo mafioso. Alla Dozza c’erano le regole ma erano quelle del clan. Ne sa qualcosa un detenuto cutrese ripreso dai napoletani per aver fatto la doccia nudo. Una circostanza puntualmente riferita a Sarcone affinché provvedesse. Alla Dozza, si passava da lui perfino per decidere il lavorante di sezione. Gerarchie che si manifestavano anche durante i pasti con Sarcone che sedeva sempre a capotavola.

 

Nei guai anche quattro agenti

Partendo dalle rivelazioni di Giglio, che ha parlato del coinvolgimento di guardie penitenziarie attraverso le quali i Casalesi beneficiavano di favori (telefoni, alcol e droga), l’inchiesta ha illuminato presunte condotte illecite di 4 agenti. Due, Fabrizio Lazzari e Loris Maiorano, sono finiti ai domiciliari per detenzione ai fini di spaccio, altri due sono indagati. Droga che per l’accusa veniva smerciata fuori ma veniva anche fatta entrare in carcere. A Lazzari i pm contestavano pure l’omessa denuncia del pestaggio con l’aggravante di aver agevolato il clan, ma il gip non l’ha riconosciuta. Ai domiciliari per spaccio è finito anche Abderrazak Lachad, in contatto con gli agenti, e un altro marocchino ha avuto il divieto di dimora. Ci sono altri cinque indagati per reati di droga. Per il giudice Alberto Ziroldi le condotte di Sarcone, Bolognino e dei napoletani «s’inquadrano in un disegno quotidiano di rafforzamento della propria capacità e direzioni criminali e quindi come espressione della esistenza e forza dell’associazione di stampo mafioso, anche in ambito carcerario, luogo elettivo per la difesa e affermazione sia nei confronti di altre organizzazioni dell’associazione di appartenenza, sia nei riguardi di chiunque intenda disconoscerne la supremazia». Tra napoletani e calabresi c’erano rapporti tutt’altro che conflittuali, tanto che un camorrista chiese a un cutrese per la cresima del figlio un rito dal forte valore simbolico nella grammatica ‘ndranghetista.

Aemilia: spedizione punitiva in carcere

Gazzetta di Reggio - 11 novembre 2017 - di Enrico Lorenzo Tidona

I referenti del clan di Cutro mandanti di violenze e avvertimenti eseguiti dai detenuti. Sette arresti. Coinvolte anche guardie penitenziarie: due ai domiciliari per spaccio

Una guardia lo ha trovato vicino alla sua cella con la faccia gonfia come un pallone. Quando gli sono state chieste spiegazioni il detenuto ha anteposto l'omertà alla verità: «Mentre pulivo i cestini mi sono caduti sulla faccia e sono anche caduto all'indietro» ha raccontato. Un segno tangibile di una intimidazione avvenuta per ordine di Gianluigi Sarcone (46 anni residente a Bibbiano, fratello del boss Nicolino) e imputato del processo Aemilia, considerato esponente della 'ndrangheta cutrese, e che nel marzo del 2015 ha chiesto aiuto a due sodali della camorra vicini ai Casalesi - Mario Temperato e Andrea Palummo - per dare una sonora lezione a un altro detenuto, il campano Francesco Madonna. Il tutto avvenuto nel braccio A della sezione "alta sicurezza" del carcere Dozza di Bologna, dove i protagonisti dell'amara vicenda erano tutti detenuti. Madonna avrebbe mancato di rispetto a Sarcone, che con il compagno di cella Sergio Bolognino - fratello del più noto Michele, entrambi in Aemilia - lo ha fatto picchiare con l'aiuto dei compagni di carcere campani. Le indagini, supportate da intercettazioni e pedinamenti, sono state rafforzate dalla dichiarazioni del primo pentito di Aemilia, Giuseppe Giglio. Esecutori materiali del pestaggio sarebbero due detenuti campani. Una storia nella storia, ennesimo filone gemmato dall'inchiesta Aemilia, e che conferma l'esistenza di una gerarchia criminale tra i detenuti nelle carceri - come confermato anche dall'altro pentito Antonio Valerio su Reggio - con al vertice elementi della 'ndrangheta, mandanti di violenze e intimidazioni. Il tutto condensato nell'indagine "Reticolo", che ieri all'alba ha portato i carabinieri del Ros e dei comandi di Reggio Emilia, Bologna e Modena ad eseguire un'ordinanza di custodia cautelare per otto persone, su richiesta della Dda. Sarcone, Bolognino, Temperato e Palummo rispondono di violenza privata e lesioni aggravate dalle modalità mafiose. Ma sono 14 gli indagati, di cui 10 per vicende di droga in parte collegata. Gli altri 4 arresti, tra cui due di agenti di polizia penitenziaria, riguardano infatti la detenzione di stupefacenti in carcere, pesante vicenda venuta a galla durante le indagini sul pestaggio e che rischia di scuotere la Dozza. A finire ai domiciliari sono gli agenti della penitenziaria Fabrizio Lazzari (45 anni) e Loris Maiorano (28 anni), e con loro Abderrazak Lachhad. Per Abdelilah Fadla è stato disposto dal gip Alberto Ziroldi il divieto di dimora nel comune di Bologna. Gli altri sei restano indagati a piede libero. Sarcone e Bolognino sarebbero stati mandanti del pestaggio ai danni dello "spesino" Madonna, quello che fa acquisti di alimentari per i detenuti, punito perché irrispettoso e refrattario alle disposizioni imposte, a dimostrazione della supremazia riconosciuta agli 'ndranghetisti da parte di detenuti legati alla camorra. In carcere, infatti, vengono ricostituite - e alle volte rafforzate - le gerarchie delle consorterie. Giglio, infatti, racconta che per il pestaggio nel carcere della Dozza del 15 marzo 2015, gli era stato ordinato - e con lui a Giuseppe Pallone - di non avvicinarsi alla cella di Madonna. Non dovevano quindi intervenire. Ed è in questo frangente che compare il collegamento con l'agente Lazzari, in servizio il giorno dell'aggressione che non denunciò ai suoi superiori il pestaggio di Madonna. Lazzari, è stato poi indicato nell'indagine, aveva rapporti diretti con Temperato. La sua mancata denuncia sarebbe servita «per agevolare l'attività dell'associazione mafiosa».

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