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MA ADESSO VOGLIAMO SAPERE

CHI HA APERTO IL COMUNE

ALLA COSCA

- 9 dicembre 2017 -
di Sabrina Natali - referente Agende Rosse – gruppo Mauro Rostagno – Modena & Brescello
dal sito 19 luglio 1992

 

E’ da poche ore giunta la notizia che è stato respinto il ricorso di Marcello Coffrini e degli ex assessori Gabriele Gemma e Giuditta Carpi e dell’ex consigliera comunale Susanna Dall’Aglio contro il decreto di scioglimento del Comune di Brescello per condizionamenti mafiosi. Leggiamo questa notizia, non lo nascondiamo, con evidente sollievo e inevitabilmente si affacciano alla mente riflessioni e domande.

Ben triste cosa se è necessaria un’intervista dei ragazzi di Cortocircuito, per far scoppiare un caso e per portare una commissione di indagine all’interno di un Comune che già aveva dato forti segnali, uno fra i tanti,  il bar che nel 2003 espose il cartello “chiuso per pizzo”, una vera e propria richiesta di aiuto che rimase non solo inascoltata ma che ottenne in risposta dall’allora sindaco Ermes Coffrini il preannuncio di cause legali per tutelare il nome di Brescello e la revoca della licenza al barista. Ermes Coffrini, tale padre tale figlio, che definì Francesco Grande Aracri un bravo muratore. Vero che accadde prima dell’inchiesta Edilpiovra che vide la condanna del bravo muratore per associazione mafiosa, ma i cui legami con il fratello, Nicolino Grande Aracri, erano noti almeno da decenni. Un sindaco, che in veste di avvocato non disdegnò di difendere la famiglia Grande Aracri per una causa al Tar. Niente di penalmente perseguibile ovviamente, ma moralmente molto discutibile per la veste istituzionale che allora rivestiva.

Interessante ricordare anche l’intervista che Ermes Coffrini rilasciò pochi giorni prima della manifestazione organizzata a favore del figlio, organizzata dallo stesso Marcello, dove scesero in piazza soggetti vicini alla cosca Grande Aracri a favore del sindaco: “Qualche tempo fa ero in sala d’attesa in un ambulatorio. Sento che qualcuno mi saluta: era Grande Aracri. Mi chiede: come va? E io a mio volta gli ho chiesto come stava. Ma cosa avrei dovuto fare? Queste sono cose minime di civiltà. Io con la sua famiglia non ho rapporti”. Tralasciando il fatto che i rapporti con i Grande Aracri ce li aveva avuti eccome, almeno dal punto di vista professionale, è chiaro che l’approccio, quantomeno inadeguato del padre si riflette su quello del figlio. E ancora: «Lasceremo sbollire gli animi, faremo passare un po’ di tempo e poi organizzeremo a Brescello una bella iniziativa antimafia». Come se organizzare “una bella iniziativa antimafia” fosse un paravento formale dietro il quale nascondersi o una parvenza di garanzia per apparire esenti da infiltrazioni mafiose. Ben altre sono le azioni che un Comune dovrebbe intraprendere per mantenere la “macchina comunale” onesta e trasparente, prime fra tutte non legarsi a ditte interdette per mafia, non assumere soggetti legati ad esponenti della cosca, non favorire un soggetto legato ad esponenti della cosca lasciandolo abitare senza aver mai pagato il canone di locazione (soggetto che tuttora risiede in codesto “casello ferroviario”), non approvare delocalizzazioni o varianti in favore di soggetti vicini alla cosca, non minacciare con “querele generiche” coloro che denunciano situazioni poco limpide.

Detto questo preferiamo pensare che una commissione di indagine si insediò nel 2015 non per una intervista per quanto “esplosiva” di un gruppo volenteroso di studenti, ma grazie alle numerosissime denunce di Donato Ungaro e Catia Silva due cittadini di Brescello che hanno pagato, e stanno tuttora pagando, in prima persona per il loro senso civico.

Ci chiediamo a questo punto, confessando preventivamente la nostra ignoranza in senso giuridico, come mai in un comune commissariato per mafia, nessuno sia stato raggiungo da almeno un avviso di garanzia. Chi ha aperto materialmente le porte del comune alla cosca Grande Aracri? Quali sono i dipendenti comunali, se ve ne sono, che hanno favorito questo ingresso? Chi all’interno delle amministrazioni che si sono succedute nei decenni  ha permesso una tale infiltrazione mafiosa che ha portato allo scioglimento di un comune?

Non vorremmo che alla fine della storia gli unici ad aver realmente pagato lo scotto fossero stati proprio coloro che hanno alzato la testa e si sono opposti all’andazzo.

L’aria che si respira a Brescello è di attesa. Attesa per il termine del commissariamento e delle successive elezioni: chi si presenterà? Dovremo assistere ancora al gioco delle tre carte, dove “i soliti noti” si scambiano i ruoli in una sorta di gioco gattopardesco dove “tutto cambia perché nulla cambi”? Le risposte potranno darle solamente gli stessi cittadini brescellesi  ovviamente.

Dal canto nostro noi continueremo ad essere presenti il più possibile per quanto l’impegno gravoso di raccontare il processo Aemilia ci porti via molto tempo ed energia. Per concludere ci teniamo particolarmente che passi chiaro il messaggio che noi crediamo profondamente che la gente di Brescello abbia la forza e l’orgoglio di rialzarsi ed unirsi per spezzare quel legame che ha causato lo scioglimento del primo comune emiliano per mafia.

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