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CAMALEONTE

LA RASSEGNA STAMPA
prima del processo

I Grande Aracri alla conquista del Nordest. La scalata della cosca da Cutro all’Emilia al Veneto

CN24TV - 12 marzo 2019

Le province di Padova, Treviso, Vicenza e Venezia, ovvero quei ricchi territori del Nordest del Paese che non potevano non aver suscitato “appetiti” e fatto decidere così alla ‘ndrangheta calabrese di appuntare anche lì le sue bandierine.

Un controllo, un “dominio”, che per essere accaparrato non avrebbe fatto disdegnare l’uso della violenza, soprattutto nei confronti di diversi imprenditori: un “sistema”, in pratica, per entrare a gamba tesa nell’economia locale, dove uomini legati al clan acquisivano non solo il territorio ma anche le aziende per riciclare e sviluppare attività illecite.

Al centro una della cosche più note del Paese, quella dei Grandi Aracri, che dalla piccola cittadina di Cutro, nel crotonese, aveva già “conquistato” il centro-Nord, in particolare l’Emilia Romagna (oramai divenuta una “base” consolidata) ma che ora si sarebbe affacciata anche al Veneto.

Questo quanto emerge almeno dall’indagine condotta dai carabinieri di Padova e dai finanzieri di Venezia, che stamani hanno fatto scattare le manette per ben 33 persone nell’ambito dell’operazione non a caso battezzata “Camaleonte” (LEGGI), andando a colpire appunto un'articolazione del clan cutrese insediatosi sul posto.

Eseguite anche perquisizioni in Veneto, ma anche in Lombardia, Emilia Romagna e ovviamente in Calabria e sequestrati denaro contante, conti correnti, quote di società, beni mobili ed immobili per un valore di 8 milioni di euro, riconducibili agli indagati.

I militari hanno tenuto sotto osservazione ma anche ascoltato le conversazioni di alcuni di loro, arrivando così a ritenere di aver fatto luce su diverse estorsioni ed usure, quest’ultime addirittura con tassi di interesse fino ad oltre il 300%, e le cui vittime era degli imprenditori locali.

Si sarebbero anche scoperte varie operazioni di riciclaggio di grosse somme di denaro ottenute con le attività illecite e realizzate attraverso fatture false, in questo caso sfruttando anche con la complicità degli stessi imprenditori veneti.

IL “PIEDE” NELLE AZIENDE PER RIPULIRE IL DENARO SPORCO

La tesi degli inquirenti è che prima con le minacce e poi, se necessario, anche con le aggressioni fisiche (nei casi in cui le intimidazioni non fossero state sufficienti) si sarebbero modificati gli assetti societari di aziende asservite agli indagati, attribuendogli fittiziamente quote societarie e così facendo arrivare, poi, ad estromettere i legittimi proprietari.

Nel tempo i presunti appartenenti alla cosca sarebbero riusciti a penetrare nel tessuto socio-economico locale producendo, con la violenza e l’utilizzo delle armi, e attraverso delle “società cartiere”, tutto il supporto di documenti necessari per riciclare il denaro sporco, mascherando i profitti reali di aziende “pulite”, eludere anche il fisco, accantonare una ingentissima quantità di liquidità in nero e, non per ultimo, mettere a rischio i meccanismi naturali della concorrenza, producendo un danno che è stato calcolato in 8 milioni di euro, come prezzo e profitto del riciclaggio e dei collegati reati di natura fiscale.

Nel corso delle indagini sono emersi degli stretti contatti tra esponenti della cosca ‘ndranghetista e una vasta platea di imprenditori veneti e di intermediari, a cui sarebbero state consegnate periodicamente delle cospicue somme di denaro contante.

I FONDI NERI E IL “FLUSSO PERPETUO” DI DENARO

Secondo i finanzieri di Mirano, gli obiettivi raggiunti sarebbero così da un lato la possibilità, in pochi giorni e con pochi passaggi, di ripulire grossi importi facendoli apparire come frutto di operazioni commerciali.

Dall’altro l’organizzazione avrebbe lucrato una percentuale sul contante consegnato agli imprenditori, che veniva normalmente incorporata nell’Iva delle fatture false emesse dalle società cartiere ma poi non versata allo Stato.

Gli imprenditori locali, dal canto loro, con il contante ottenuto dall’associazione criminale si sarebbero creati dei fondi neri da utilizzare anche per scopi personali, oltre che vantaggi fiscali.

“L’organizzazione - spiegano gli inquirenti - avrebbe sostanzialmente creato un flusso perpetuo che poteva contare su numerose società conniventi, in cui le stesse somme riciclate venivano celermente reimmesse nel circuito delle false fatturazioni, così da generare ulteriori profitti”.

TUTTI GLI INDAGATI

Delle 33 persone coinvolte sono finite in carcere: Adriano Biasion, Gaetano Blasco, Francesco Bolognino, Michele Bolognino, Sergio Bolognino, Donato Agostino Clausi, Gianni Floro Vito, Leonardo Lovo, Giuseppe Richichi, Francesco Scida, Pasquale Scida, F.S., Mario Vulcano.

Ai domiciliari: Antonio Brugnano, Marco Carretti, Angelino Crispino, Tobia De Antoni, Giuseppe De Luca, Rocco Devona, Salvatore Innocenti, Sergio Lonetti, Antonio Genesio Mangone, Vincenzo Marchio, Antonio Mazzei, Mario Megna, Domenico Nardella, Domenico Pace.

Sei, invece, gli obblighi di presentazione: Francesco Agostino, Idriz Ahmetaj, Antonio Carvelli, Luca De Zanetti, Emanuel Levorato, Stefano Marzano; e altri sei divieti di fare impresa, per un anno, per: Adrian Arcana, Eugen Arcana, Ferdinando Carraro, Federico Schiavon, Ilir Shala e Loris Zaniolo

Agli indagati, a vario titolo, sono stati dunque contestati l’associazione mafiosa (416 bis) e l’associazione per delinquere finalizzata all’estorsione, all’usura, al riciclaggio e al trasferimento fraudolento di valori.

A tutto si aggiunge anche la dichiarazione fraudolenta con l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e la distruzione di documenti contabili, il tutto aggravato per avere commesso i reati avvalendosi dell’associazione e per aver agevolato la cosca dei Grande Aracri.

Il blitz è stato eseguito dai carabinieri di Padova e dai Finanzieri di Venezia; le indagini sono state coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Venezia.

‘Ndrangheta, le mani della cosca Grande Aracri anche in Veneto: 33 arresti. Tra loro condannati maxi-processo Aemilia

Il Fatto Quotidiano - di Paolo Bonacini - 12 marzo 2019

L'operazione Camaleonte della Direzione Antimafia di Venezia viene considerata dagli inquirenti la naturale prosecuzione geografica nel Nord Est dell’inchiesta portata avanti in Emilia Romagna. A ottobre scorso il maxi procedimento si è chiuso con 177 condanne tra la sentenza definitiva del rito abbreviato di Bologna e quella di primo grado a Reggio Emilia

Trentatré arresti, 8 milioni di beni sequestrati, profitti illeciti tre volte superiori, reati che vanno dal 416bis al sequestro di persona passando per estorsioni, usure, violenze, riciclaggio e falsa fatturazione. Cinquanta le perquisizioni fra Treviso, Vicenza, Padova, Belluno, Rovigo, Reggio Emilia, Parma, Milano e Crotone. Un duro colpo alle attività della cosca Grande Aracri in Veneto messo a segno dalla Direzione Antimafia di Venezia con l’operazione Camaleonte, condotta dai Carabinieri del comando provinciale di Padova e dai Finanzieri del comando provinciale di Venezia. E’ la naturale prosecuzione geografica nel Nord Est dell’inchiesta Aemilia, e trae forza delle indagini che hanno preceduto e affiancato il maxi processo, concluso nell’ottobre scorso con 177 condanne tra la sentenza definitiva del rito abbreviato di Bologna e quella di primo grado a Reggio Emilia.

 

Sette degli arrestati erano già in carcere, altri hanno subito in Aemilia condanne in primo grado, altri ancora, comeSergio Lonetti, erano stati assolti dal collegio giudicante e si ritrovano ai domiciliari solo quattro mesi dopo con nuove accuse. I personaggi più importanti della cosca sono nomi noti del processo emiliano che secondo la DDA veneziana non disdegnavano di esportare le loro attività illecite anche oltre Po: sono i tre membri della famiglia Bolognino (Michele, Sergio e Francesco) già duramente colpita dalla sentenza di Reggio Emilia (63 anni di carcere complessivamente); Mario Vulcano (26 anni e sei mesi in primo grado), Gaetano Blasco (38 anni e 4 mesi), Gianni Floro Vito (20 anni e 11 mesi), Giuseppe Richichi e Donato Agostino Clausi, entrambi con sentenza di 10 anni già passata in giudicato. Altri nomi del processo emiliano sono quelli di Salvatore Innocenti, rinviato dai giudici alla Procura per l’ipotesi di falsa testimonianza durante la deposizione nell’aula bunker, e di Francesco Scida, condannato a 4 anni e sei mesi in primo grado ma rinviato alla DDA di Bologna al termine di Aemilia per l’eventuale reato di appartenenza ad associazione mafiosa.

Personaggi arrestati oggi comparivano inoltre nelle carte di Aemilia anche come possibili prestanome o soci in attività economiche, segno dell’assoluta continuità dei reati ipotizzati dalla DDA. Giuseppe De Luca era il socio unico dal 2010 della Edil Planet srl di Vicenza, segnalata da due banche venete per operazioni sospette che le indagini di Aemilia riconducevano a falsa fatturazione con denaro proveniente dalla cosca Grande Aracri. Salvatore Innocenti riceveva assegni circolari per volumi esagerati dalla Immobiliare Tre srl di Gianni Floro Vito attraverso operazioni che partivano dalla filiale di Bagnolo, a Reggio Emilia, della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza.

Si tratta di una conferma delle attività della cosca in Emilia Romagna, passate ai raggi x nei due processi di Bologna e Reggio Emilia con oltre 1500 anni di carcere sentenziati il 24 e il 31 ottobre scorso. Una novità invece per il Veneto, dove la presenza degli eredi della famiglia Grande Aracri e della ‘‘ndrangheta dimostrano di non essere più tanto marginali come si poteva pensare prima del 2019. “Siamo a circa 100 arresti solo nell’ultimo mese”, dice il Procuratore Capo di Venezia Bruno Cherchi, e non si può più solo parlare di infiltrazione locale ma “di un quadro di riferimento con struttura regionale”. La ‘ndrangheta è dunque fortemente radicata in Veneto e sviluppa affari con altre associazioni mafiose. Il punto di partenza, come a Reggio, Parma, Piacenza e nella bassa Lombardia, è sempre il paesino di 10mila anime nel crotonese: Cutro, dove nel terzo millennio è la cosca di Nicolino Grande Aracri, oggi in carcere a Milano, a dettare legge.

I nomi degli altri arrestati, o soggetti a provvedimenti restrittivi, nell’operazione Camaleonte sono: Adriano Biasion, Leonardo Lovo, Pasquale Scida, F.S., Antonio Brugnano, Marco Carretti, Angelino Crispino, Tobia De Antoni, Giuseppe De Luca, Rocco Devona, Antonio Genesio Mangone, Vincenzo Marchio, Antonio Mazzei, Mario Megna, Domenico Nardella, Domenico Pace, Francesco Agostino, IdrizAhmetaj, Antonio Carvelli, Luca De Zanetti, Emanuel Levorato, Stefano Marzano.

‘Ndrangheta in Veneto, 54 avvisi di conclusione indagine nell’operazione “Camaleonte-bis”

A marzo fu effettuato il primo blitz, con l'arresto di 27 persone (13 in carcere e 14 ai domiciliari) accusate di far parte di un'organizzazione criminale facente capo alla cosca cutrese "Grande Aracri". Ora, a conclusione delle indagini, le notifiche degli avvisi ad un numero di persone che nel frattempo è cresciuto. Interessate le province di Padova, Venezia, Vicenza, Belluno, Treviso, Reggio Emilia, Parma, Crotone, Reggio Calabria e Cosenza

Il Fatto Quotidiano- di Giuseppe Pietrobelli | 26 Novembre 2019

Le mani della ‘ndrangheta sul Veneto produttivo, sulle aziende bisognose di liquidità e vessate dalle cosche. E’ questo lo scenario dell’operazione “Camaleonte-bis” messa a segno dai carabinieri di Padova che hanno notificato 54 avvisi di conclusione di indagini preliminari emessi dalla Procura Distrettuale Antimafia di Venezia. A marzo fu effettuato il primo blitz, con l’arresto di 27 persone (13 in carcere e 14 ai domiciliari) accusate di far parte di un’organizzazione criminale facente capo alla cosca cutrese “Grande Aracri“. Ora, a conclusione delle indagini, le notifiche degli avvisi ad un numero di persone che nel frattempo è cresciuto. Interessate le province di Padova, Venezia, Vicenza, Belluno, Treviso, Reggio Emilia, Parma, Crotone, Reggio Calabria e Cosenza. I reati contestati vanno dall’associazione per delinquere di stampo mafioso all’estorsione, dalla violenza privata al riciclaggio. Inoltre, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per oltre 30 milioni di euro.

In questi mesi gli accertamenti sono continuati. Ad indagare non sono solo i carabinieri, ma anche la Guardia di Finanza di Mirano, con il supporto di personale del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Venezia. A conclusione sono state formulate nuove ipotesi di reato associativo finalizzato a commettere reati fiscali e riciclaggio. Alcune delle vittime di episodi di minaccia e violenza, infatti, hanno collaborato fornendo prove di episodi di estorsione commessi soprattutto nelle province di Padova e Venezia.

Tra tutti è emersa la figura di Antonio Genesio Mangone, calabrese, 54 anni, che si trovava agli arresti domiciliari e che a metà ottobre è finito in carcere nell’ambito dell’operazione “Avvoltoio”. Sarebbe il responsabile di 13 nuovi episodi di estorsione nei confronti di altrettanti imprenditori veneti. Gli è stata contestata anche l’associazione di stampo mafioso per i suoi rapporti diretti con i fratelli Michele e Sergio Bolognino, già arrestati a marzo. Nell’elenco dei nuovi indagati c’è anche un imprenditore edile padovano che sarebbe coinvolto (assieme a fratelli Bolognino) in alcune estorsioni ai danni di imprenditori in difficoltà. L’obiettivo era quello di assumere il controllo delle società, dopo il prestito di forti somme di denaro.

Dopo essere finito sotto inchiesta, negli scorsi mesi uno degli imprenditori veneti coinvolti aveva sanato il proprio debito tributario pagando all’Erario circa 5 milioni e mezzo di euro, oltre a un milione e mezzo di euro sequestrato quale profitto per il riciclaggio.

Dall’inchiesta emerge il sistema della ‘ndrangheta per infiltrarsi nel tessuto economico veneto, con l’obiettivo finale di fare delle aziende acquisite (anche con la violenza) lo strumento per impiegare in modo apparentemente lecito il denaro proveniente da attività criminali.

La cosca Grande Aracri, partendo dalla cittadina di Cutro, nel crotonese, aveva già dimostrato di sapersi introdurre in Emilia Romagna, dove aveva costituito una base consolidata, diventata il trampolino per allargare le sue attività in Veneto. “L’organizzazione – hanno spiegato gli inquirenti – avrebbe un flusso perpetuo che poteva contare su numerose società conniventi, in cui le stesse somme riciclate venivano celermente reimmesse nel circuito delle false fatturazioni, così da generare ulteriori profitti”.

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'Ndrangheta in Veneto, udienza preliminare: 14 a processo, 34 abbreviati e 4 patteggiamenti

IL GAZZETTINO NORD EST - 18 febbraio 2020

MESTRE - Quattordici rinvii a giudizio, 34 riti abbreviati e quattro patteggiamenti ancora da definire davanti al Gup a causa del mancato assolvimento del risarcimento all'Agenzia delle Entrate e altre due posizioni da definire, perché un imputato è latitante. Si è chiusa così stamani all'Aula bunker di Mestre l'udienza preliminare del processo su infiltrazioni della 'ndrangheta in Veneto, che vedeva 54 imputati.

Il processo riguarda le infiltrazioni della cosca Grande Aracri nel tessuto imprenditoriale veneto dal 2013 al 2017. Minacce, estorsioni, violenze aggravate dal metodo mafioso, e false fatture e ricettazioni aggravate dall'aver favorito la 'ndrangheta, sono le accuse principali mosse agli imputati. Il dibattimento, per chi non ha chiesto il rito alternativo, inizierà il 23 marzo prossimo in tribunale a Venezia.
 

Mafia in Veneto. I nomi degli imputati

Compariranno davanti ai giudici Sergio Bolognino, Francesco Agostino, di Reggio Calabria, Andrea Biasion, di Padova, Ferdinando Carraro, di Treviso, Antonio Carvelli, di Crotone, Luca De Zanetti (Padova), Antonio Gnesotto (Treviso), Emanuel Levorato (Padova), Antonio Genesio Mangone (Cosenza), Stefano Marzano (Reggio Calabria), Renata Muzzati (Padova), Leonardo Nardella (Cosenza), Patrizia Orlando (Roma) e Valter Zangari (Crotone). Gli impresari veneziani Eros Carraro e Massimo Nalesso, e il paodvano Roberto Rizzo, le cui posizioni sono minori rispetto al corpo dell'indagine, hanno chiesto di patteggiare rispettivamente un anno e mezzo, un anno e sette mesi e un anno e nove mesi, con pena sospesa. Prima dovranno risarcire l'Agenzia delle Entrate con cifre che vanno da 20 ai 90 mila euro. Il pentito Giuseppe Giglio, che si trova sotto protezione in un posto protetto, ha chiesto come patteggiamento la continuazione della pena già inflitta al processo di Reggio Emilia. Sui quattro patteggiamenti il Gup si esprimerà il 20 maggio. Tutti gli altri, incluso Biasion, che secondo le indagini era il braccio destro del presunto boss Mangone, verranno giudicati con rito abbreviato il 18 maggio, sempre in aula bunker. Tre sono gli imprenditori che si sono costituiti parte civile; pareti civili anche la Regione Veneto, la presidenza del Consiglio dei Ministri, l'Agenzia delle Entrate e il Ministero dell'Interno. 

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