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AEmilia 1992

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Covid, anche Nicolino Grande Aracri chiede i domiciliari: è il capo delle cosche di ‘ndrangheta in Emilia

Pur essendo in regime di 41 bis al carcere di Opera a Milano, il boss 61enne ha mosso i suoi legali per chiedere di uscire, adducendo anche il motivo delle precarie condizioni di salute. Stessa istanza accolta a Catanzaro per uno dei suoi ex luogotenenti. E intanto la lista di richieste si allunga

di Paolo Bonacini - 1 maggio 2020 - Il Fatto Quotidiano

Il capo dei capi della cosca cutrese/emiliana di ‘ndrangheta, Nicolino Grande Aracri, ha presentato domanda di misure alternative al carcere per scongiurare il rischio di contagio da coronavirus. Pur essendo in regime di 41 bis al carcere di Opera a Milano, isolato da contatti con altri detenuti, Nicolino ‘Mano di Gomma’, che ha da poco compiuto 61 anni, ha mosso i suoi legali per chiedere di uscire, adducendo anche il motivo delle precarie condizioni di salute. Contemporaneamente arriva la notizia che un altro uomo importante legato ai Grande Aracri, Romolo Villirillo, condannato in via definitiva nel processo Aemilia come uno dei sei capi della cosca autonoma che si è radicata in Emilia Romagna, ha ottenuto un pronunciamento di scarcerazione dai giudici di Catanzaro, in relazione a uno dei diversi processi in cui è imputato in Calabria.

Villirillo ha solo 42 anni ma la decisione del Gup parla di ipertensione arteriosa, insufficienza respiratoria e prende atto di una relazione dell’ASL di Roma che ipotizza il pericolo di morte in relazione al Covid 19. Villirillo è al 41 bis come Grande Aracri, nel carcere di Rebibbia, e al boss Nicolino è legato da uno stretto rapporto di amore/odio svelato dall’indagine Aemilia. Era uno dei tanti bracci destri di cui si fidava Grande Aracri, operativo al nord assieme all’altro capo Francesco Lamanna nell’area tra Piacenza, Monticelli d’Ongina e Cremona. Poi cadde in disgrazia e venne sostituito quando Grande Aracri scoprì che Villirillo faceva la cresta sui ricavi della cosca. É il collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio a spiegarlo efficacemente ai pm antimafia: “Cosa è successo? E’ successo che il Villirillo, diciamo, se da lei prendeva cento, nella famiglia ne portava solo cinquanta. E dopo alcuni anni, quando Grande Aracri è uscito dal carcere, sono cominciati i problemi per Villirillo”. Per problemi si intende che lo volevano uccidere, ma per sua fortuna è stato arrestato nella grande retata di Aemilia del gennaio 2015. Ora però le motivazioni dei giudici di Catanzaro, riferite a un processo costato a Villirillo 20 mesi di carcerazione preventiva, possono essere per lui un titolo da presentare ai Magistrati di Sorveglianza di Roma per sperare nella libertà.

Sia Grande Aracri che Villirillo hanno sulle spalle già numerosi procedimenti per il 416 bis. Entrambi sono stati definitivamente condannati nel giugno 2019 al processo Kyterion in Calabria: Nicolino all’ergastolo e Romolo Villirillo a 6 anni e 4 mesi. Entrambi sono stati definitivamente condannati nel rito abbreviato di Aemilia: 6 anni e 8 mesi Grande Aracri, 12 anni e 2 mesi Villirillo. Entrambi sono indagati nel processo Grimilde, altra grande inchiesta della Direzione antimafia di Bologna che andrà a processo a metà maggio nel carcere della Dozza. Sotto accusa sono la ‘ndrangheta di origine cutrese insediata a Brescello, comune commissariato nel 2016, e le sue relazioni con il tessuto imprenditoriale del nord, nel quale Villirillo sapeva muoversi con abilità nel campo della falsa fatturazione e del reimpiego di denari della cosca per la compravendita di società.

Ma Villirillo si dava molto da fare anche in Calabria, dove nel 2017 è finito a processo assieme ad altri con l’accusa di scambio elettorale politico mafioso, per avere preso soldi a nome delle cosche Grande Aracri di Cutro e Giampà di Lamezia Terme, in cambio di sostegno alla candidata alle regionali del 2005, aderente al Nuovo PSI, Angela de Feo. Per Villirillo l’accusa aveva chiesto 4 anni di carcere ma il reato è finito in prescrizione. Un’altra indagine antimafia sempre a Catanzaro ha portato nel giugno 2018 all’arresto di diverse persone che secondo la DDA controllavano attività commerciali e bancarelle a Crotone per conto delle cosche Barilari-Foschini. Tra gli altri c’era anche Romolo Villirillo condannato poi a due anni nel primo grado dell’abbreviato.

Il curricolum di condanne di Nicolino Grande Aracri è ancora più corposo e attualmente il capo supremo è alla sbarra in Corte d’Assise a Reggio Emilia per gli omicidi del 1992 che segnarono una prima resa dei conti tra le cosche calabresi trapiantate in Emilia Romagna. Fino all’ultima udienza di febbraio, prima della chiusura legata all’emergenza sanitaria, Grande Aracri ha seguito in video collegamento dal carcere ogni momento del dibattimento, intervenendo spesso e senza mostrare alcun segno di indisposizione fisica. Il processo dovrebbe riaprire il 15 maggio per consentire al pm Beatrice Ronchi di concludere la requisitoria prima di passare la parola agli avvocati difensori. Un altro imputato dello stesso processo, Angelo Greco, che come Nicolino rischia fino all’ergastolo, ha già presentato una domanda analoga di misure alternative al carcere, sempre per rischio Covid 19. I giudici del tribunale reggiano l’hanno rigettata il 24 aprile. Diversi altri condannati di Aemilia e imputati in inchieste parallele hanno fatto altrettanto. Da Carmine Sarcone a Giuseppe Iaquinta, da Giuseppe Caruso a Giuseppe Strangio, da Claudio Bologna a Cosimo Amato per citare i più importanti. E ogni giorno la lista si allunga, come i contagi del coronavirus nelle prime settimane. Tanto che il governo, su proposta del ministro Bonafede, ha approvato il 29 aprile un decreto legge che rende obbligatorio il parere delle Procure Antimafia e, nel caso di detenuti al 41 bis, anche quello del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, nelle decisioni relative alle misure alternative al carcere.

Coronavirus, colletti bianchi e reggenti del clan: pure gli uomini della ‘ndrangheta in Emilia vogliono andare ai domiciliari

Una serie di condannati per il 416 bis o arrestati nelle grandi inchieste sulle cosche in Emilia Romagna hanno sommerso di richieste provenienti da diverse carceri italiane il Tribunale competente di Bologna con il medesimo leitmotiv: qui rischiamo di ammalarci di coronavirus, dateci gli arresti domiciliari. I nomi: dall'ex consigliere comunale Fdi di Piacenza Giuseppe Caruso ad Antonio Muto fino a Carmine Sarcone, considerato il reggente della cosca a Reggio Emilia

di Paolo Bonacini - 23 aprile 2020 - Il Fatto Quotidiano

Non solo gli esponenti di Cosa nostra, ma anche quelli della ‘ndrangheta radicata nel Nord Italia. Una serie di condannati per il 416 bis o arrestati nelle grandi inchieste contro le cosche in Emilia Romagna hanno sommerso di richieste provenienti da diverse carceri italiane il Tribunale competente di Bologna con il medesimo leitmotiv: qui rischiamo di ammalarci di coronavirus, dateci gli arresti domiciliari. La preoccupazione che l’assalto ai Giudici per le Udienze Preliminari e al Tribunale del Riesame si moltiplichi in Emilia Romagna, specialmente dopo le recenti scarcerazioni di uomini importanti della mafia siciliana e della ‘ndrangheta di Gioia Tauro e Lamezia Terme, è forte.

Il personaggio più in vista politicamente che teme il coronavirus e chiede gli arresti domiciliari è l’ex presidente del consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso, 60 anni, esponente di Fratelli d’Italia poi espulso dal partito dopo l’arresto del giugno 2019. “Sono preoccupato per la mia salute e lo Stato non sembra curarsi di noi detenuti”, aveva dichiarato il 4 aprile scorso attraverso il proprio avvocato Maria Rosa Oddone. Caruso è rinchiuso a Voghera in attesa del processo Grimilde, che vedrà 85 indagati alla sbarra nell’udienza preliminare prevista per il 13 maggio al carcere della Dozza di Bologna. È accusato di appartenere alla cosca che da Brescello, in provincia di Reggio Emilia, diramava le proprie attività illecite in campo economico nel nord Italia ed anche all’estero, assieme a capi mafiosi del calibro di Nicolino Sarcone, Francesco e Nicolino Grande Aracri, Alfonso Diletto. È accusato di aver messo a disposizione della cosca le sue competenze e conoscenze di funzionario dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli di Piacenza. Caruso ha annunciato l’inizio di uno sciopero della fame in carcere lamentando i sintomi del coronavirus. Ma nelle sue telefonate intercettate diceva contemporaneamente di stare benissimo. Ha presentato sinora tre richieste di arresti domiciliari: la prima respinta, le altre due in attesa di risposta. E’ stato comunque isolato per evitare ogni possibile contagio.

 

Altri personaggi coinvolti in Grimilde che hanno chiesto di uscire sono Giuseppe Strangio, cinquantenne di Crotone residente a Traversetolo, in provincia di Parma, accusato di avere partecipato alle truffe e alle minacce ai danni dei titolari della Riso Roncaia Spa di Castelbelforte di Mantova, coinvolta in una truffa milionaria ai danni della Comunità Europea, e Pascal Varano detto Dandy, 33enne residente a Poviglio (Re). Il primo, detenuto a Pozzuoli, è in attesa di un intervento per ernia ritenuto non urgente e le sue condizioni sono considerate compatibili con il carcere ma ha comunque chiesto di uscire per evitare le possibili complicazioni legate al coronavirus. Il secondo ha soli 33 anni ed ha chiesto gli arresti domiciliari dal carcere di Voghera dopo il contatto con un detenuto positivo. E’ stato semplicemente isolato.

Anche Antonio Muto classe ’71, uno dei numerosissimi membri della famiglia messa all’angolo sia da Aemilia (condanna in primo grado a 20 anni e 6 mesi complessivi) che da Grimilde, ha presentato istanza di scarcerazione benchè sano come un pesce. Le motivazioni addotte sono il semplice rischio di contagio in carcere e la modestia del reato di cui è accusato in Grimilde (intestazione fittizia) che però è aggravato dall’imputazione dell’art. 7 della legge del 1991 che contesta il ricorso al metodo mafioso.

Poi c’è Claudio Bologna, milanese residente a Parma di 56 anni, accusato del 416 bis, che lamenta artrosi psoriasica e chiede la scarcerazione dalla Casa Circondariale di Tolmezzo, benchè siano a zero i casi di coronavirus in città e fossero a zero quelli all’interno del carcere ritenuto tra i più efficienti del paese. L’arrivo di alcuni detenuti positivi da Bologna ha offerto però l’alibi per la domanda, sebbene siano stati immediatamente intercettati e messi in quarantena evitando ogni contatto con gli altri carcerati.

Ha chiesto gli arresti domiciliari per difendersi dal coronavurus anche Cosimo Amato, arrestato assieme ai fratelli Mario e Michele all’inizio del 2019. I tre sono ritenuti responsabili dei tentativi di estorsione e dei colpi di pistola esplosi contro quattro pizzerie di Reggio Emilia. Azioni messe in atto dopo che il loro padre, Francesco Amato, aveva reagito alla condanna in Aemilia (19 anni in primo grado) con il clamoroso sequestro di otto persone in un ufficio postale di Reggio Emilia, tenendo sotto scacco la città per un intero giorno. Cosimo ha 20 anni ed è sanissimo.

I Giudici per le Udienze Preliminari hanno lavorato sodo a Bologna in questi giorni e le domande di Stangio, Bologna, Caruso e Muto sono state rigettate dal dottor Sandro Pecorella, mentre l’altro giudice Roberta Dioguardi ha negato gli arresti domiciliari a Cosimo Amato. Ora si attendono i pronunciamenti del Riesame, mentre altri uomini eccellenti della ‘ndrangheta emiliana si fanno avanti con nuove richieste. Da Giuseppe Iaquinta (19 anni di carcere in Aemilia, padre del calciatore campione nel mondo con la nazionale nel 2006) a Gabriele Valerioti (19 anni e 6 mesi), a Carmine Sarcone, considerato il reggente della cosca a Reggio Emilia dopo gli arresti dei fratelli Nicolino e Gianluigi, a sua volta arrestato e condannato l’estate scorsa a dieci anni di carcere. Carmine ha 40 anni ed ha già presentato due istanze rigettate; ora è in attesa del Tribunale del Riesame.

Le richieste aumentano e gli uffici della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna debbono svolgere un super lavoro supplementare fornendo ai Tribunali il loro parere. Intanto si avvicinano le date della riapertura: 13 maggio udienza preliminare di Grimilde alla Dozza, 14 maggio appello Aemilia sempre al carcere della Dozza, 15 maggio udienza per gli omicidi del 1992 in Corte d’Assise a Reggio Emilia. Coronavirus permettendo.

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