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AEmilia

udienza nr. 142

rito ordinario - primo grado

giovedì 7 dicembre 2017

WORK IN PROGRESS: ATTENZIONE - prima possibile verrà pubblicata anche la trascrizione dell'udienza.

RASSEGNA STAMPA

"Dopo Aemilia siamo più forti Qui gli anticorpi per contrastare le nuove mafie" - La Repubblica - 7 dicembre 2017

Il procuratore di Bologna replica al capo della Dda di Napoli Giuseppe Borrelli che aveva lanciato l'allarme sui clan che puntano a riorganizzarsi

«Credo che le istituzioni emiliano romagnole siano sempre più sensibili al tema della lotta alle mafie.

Perfettamente in grado di creare un argine contro la criminalità organizzata. Questo non significa che abbiamo battuto ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra, ma che nonostante le difficoltà, il processo "Aemilia" abbia rappresentato uno spartiacque decisivo». Il procuratore di Bologna e capo della distrettuale antimafia, Giuseppe Amato, non è d'accordo col "collega" di Napoli Giuseppe Borrelli, che nei giorni scorsi aveva lanciato un nuovo allarme mafie al nord, affermando che le istituzioni non sono sufficientemente sensibili e preparate ad affrontare il pericolo infiltrazioni. Amato invece è «ottimista», nella «consapevolezza che il rischio è sempre dietro l'angolo».

Procuratore ci spiega questo ottimismo?

«Nei due anni d'esperienza in Emilia Romagna ho visto crescere nella società civile e nelle istituzioni una grande consapevolezza del rischio determinato dalla presenza di certi fenomeni criminali. Oggi, a differenza di alcuni anni fa, ci sono tante associazioni che si confrontano sul tema. I sindacati, le amministrazioni, i professionisti stanno dimostrando grande attenzione.

Questo non significa che le mafie siano sconfitte, ma che certamente si può creare un argine contro il fenomeno».

In questo senso il processo Aemilia è stato decisivo.

«Sicuramente si tratta di un procedimento importante. Tra i più significativi in Italia. Aemilia ha svelato molte trame occulte, ed ora il territorio e la società in senso lato sono più consapevoli e in grado di reagire».

Anche il settore repressivo?

«Certo, la magistratura e le forze di polizia sono adeguatamente preparate, capaci di intervenire e leggere le dinamiche criminali, senza tralasciare segnali, ad esempio i "reati spia". La prova la possiamo trovare, per fare un esempio, nell'omicidio di Reggiolo. Appena abbiamo notato che c'erano alcuni elementi che potevano delineare un contesto mafioso, ci siamo coordinati con i colleghi di Reggio Emilia. Poi, gli sviluppi dell'inchiesta hanno portato in un'altra direzione, ma la Dda ha dimostrato prontezza.

Tenga conto che sul tema delle mafie lavoriamo molto sulla condivisione delle informazioni con ogni procura e anche tra forze dell'ordine c'è grande sinergia. Ci muoviamo attentamente e non abbiamo mai smesso di indagare».

Ad esempio dopo le dichiarazioni dei pentiti al processo Aemilia.

«Certo. Stiamo cercando riscontro ad ogni dichiarazione, senza tuttavia fare l'errore di sopravvalutare il loro contributo.

Grazie ai pentiti abbiamo già fatto luce sugli omicidi degli anni Novanta, e ancora non è finita».

Nuove inchieste?

«Siamo alla ricerca di ogni riscontro possibile. In alcuni casi credo che le indagini avranno un seguito processuale, in altre forse no. Vedremo».

Cosa pensa della scarsa collaborazione degli imprenditori proprio al processo "Aemilia"?

«Guardi, anche questo è fisiologico e non mi sorprende più di tanto. Alcuni hanno paura, altri sono conniventi e complici. Ma qui c'è un'imprenditoria sana che sa come la denuncia sia l'unico strumento per difendere il mercato dall'inquinamento mafioso. Sono fiducioso».

Malvezzi: "Nessuna relazione con il sig. Muto" - La provincia di Cremona - 7 dicembre 2017

Tirato in ballo dal pentito nel processo Aemilia, già pronta la querela. La risposta a Toninelli (M5S): «I signori dalla doppia morale si guardino allo specchio»

CREMONA - Tirato in ballo nelle dichiarazione del pentito Salvatore Muto nel corso del processo Aemilia, Carlo Malvezzi passa all'attacco con un duro comunicato che qui riportiamo.

«Leggo con mio sommo stupore le affermazioni di un tale signore di nome Salvatore Muto a mio riguardo, rispetto alle quali c’è ben poco da dire: non ho mai avuto nessuna relazione con lui e pertanto non è nemmeno lontanamente ipotizzabile che possa aver avuto da lui presunti e del tutto inesistenti aiuti in campagna elettorale»: così il consigliere regionale Carlo Malvezzi in merito alla richiesta dell’onorevole Danilo Toninelli (M5S) di fare chiarezza sulle dichiarazioni rilasciate dal pentito Salvatore Muto durante un processo a Reggio Emilia. «Vista la mia totale assenza di rapporti con questo signore - prosegue Malvezzi - non accetto che si possano gettare ombre sulla mia persona e sulla mia attività che ho sempre condotto con la massima trasparenza e correttezza. Per questo ho dato mandato ai miei legali di procedere con una querela per diffamazione. In merito poi alla manifestazione “Calabria a Cremona” la questione è semplice: il Comune di Cremona, al tempo in cui Oreste Perri era sindaco e io vicesindaco, ha, com’è naturale, concesso il patrocinio gratuito a un evento che aveva agli occhi della città tutti i requisiti per essere patrocinato, così come accade per centinaia e centinaia di altre manifestazioni ogni anno. Nulla di più». «Quanto poi alle sconsiderate dichiarazioni del deputato Toninelli, mi limito a notare una cosa: è diventata ormai insopportabile la doppia morale dei grillini, loro così indulgenti con i propri compagni di partito anche se rinviati a giudizio, e pronti a scagliarsi come sciacalli contro chi invece viene diffamato con dichiarazioni, lo ripeto, del tutto prive di fondamento. I chiarimenti che devo fare sono pronto a farli, e con un’azione molto semplice: la querela nei confronti di chi mi diffama. Toninelli e i suoi compagni di partito farebbero meglio ad evitare di lanciarsi in maniera così sconsiderata in una strumentalizzazione indecente. Devono recuperare visibilità in vista delle elezioni regionali e pur di riuscirci scendono a qualsiasi tipo di bassezza. Un modo di fare politica che genera solo disgusto. Io proseguo il mio lavoro a testa alta con l’impegno e la correttezza di sempre».

'Ndrangheta, 'fango' su Nexus: "Il pentito Muto dice il falso" - La provincia di Cremona - 9 dicembre 2017

Il legale dell'associazione culturale smentisce le dichiarazioni infamanti del collaboratore di giustizia

CREMONA - Dopo il consigliere regionale di Forza Italia, Carlo Malvezzi, che ha già annunciato una querela, anche Carmine Lepiani, presidente pro-tempore di Nexus, l’associazione culturale attiva dal 2011 al 2014 con la finalità di promuovere e diffondere la cultura calabrese a Cremona, «smentisce categoricamente le infamanti affermazioni» rilasciate dal collaboratore di giustizia, Salvatore Muto, al processo ‘Aemilia’ sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta al Nord. Le frasi - riportate tra virgolette dai giornali web - gettano ombre sull’associazione che ‘avrebbe organizzato feste etniche calabresi per ingraziarsi la comunità locale’ e per coprire la ’ndrangheta a Cremona’. Originario di Cutro, residente a Corte de’ Frati, Muto, 40 anni, è già stato condannato a 18 anni di reclusione al processo ‘Pesci’, costola mantovano-bresciana del processo Aemilia. Lepiani si è affidato all’avvocato Marco Soldi che in una lettera, smentisce, chiarisce e si riserva «ogni più opportuna iniziativa nelle competenti sedi».

Ma adesso vogliamo sapere chi ha aperto le porte alla cosca - 19 luglio 1992 - 9 dicembre 2017

E’ da poche ore giunta la notizia che è stato respinto il ricorso di Marcello Coffrini e degli ex assessori Gabriele Gemma e Giuditta Carpi e dell’ex consigliera comunale Susanna Dall’Aglio contro il decreto di scioglimento del Comune di Brescello per condizionamenti mafiosi. Leggiamo questa notizia, non lo nascondiamo, con evidente sollievo e inevitabilmente si affacciano alla mente riflessioni e domande.

Ben triste cosa se è necessaria un’intervista dei ragazzi di Cortocircuito, per far scoppiare un caso e per portare una commissione di indagine all’interno di un Comune che già aveva dato forti segnali, uno fra i tanti,  il bar che nel 2003 espose il cartello “chiuso per pizzo”, una vera e propria richiesta di aiuto che rimase non solo inascoltata ma che ottenne in risposta dall’allora sindaco Ermes Coffrini il preannuncio di cause legali per tutelare il nome di Brescello e la revoca della licenza al barista. Ermes Coffrini, tale padre tale figlio, che definì Francesco Grande Aracri un bravo muratore. Vero che accadde prima dell’inchiesta Edilpiovra che vide la condanna del bravo muratore per associazione mafiosa, ma i cui legami con il fratello, Nicolino Grande Aracri, erano noti almeno da decenni. Un sindaco, che in veste di avvocato non disdegnò di difendere la famiglia Grande Aracri per una causa al Tar. Niente di penalmente perseguibile ovviamente, ma moralmente molto discutibile per la veste istituzionale che allora rivestiva.

Interessante ricordare anche l’intervista che Ermes Coffrini rilasciò pochi giorni prima della manifestazione organizzata a favore del figlio, organizzata dallo stesso Marcello, dove scesero in piazza soggetti vicini alla cosca Grande Aracri a favore del sindaco: “Qualche tempo fa ero in sala d’attesa in un ambulatorio. Sento che qualcuno mi saluta: era Grande Aracri. Mi chiede: come va? E io a mio volta gli ho chiesto come stava. Ma cosa avrei dovuto fare? Queste sono cose minime di civiltà. Io con la sua famiglia non ho rapporti”. Tralasciando il fatto che i rapporti con i Grande Aracri ce li aveva avuti eccome, almeno dal punto di vista professionale, è chiaro che l’approccio, quantomeno inadeguato del padre si riflette su quello del figlio. E ancora: «Lasceremo sbollire gli animi, faremo passare un po’ di tempo e poi organizzeremo a Brescello una bella iniziativa antimafia». Come se organizzare “una bella iniziativa antimafia” fosse un paravento formale dietro il quale nascondersi o una parvenza di garanzia per apparire esenti da infiltrazioni mafiose. Ben altre sono le azioni che un Comune dovrebbe intraprendere per mantenere la “macchina comunale” onesta e trasparente, prime fra tutte non legarsi a ditte interdette per mafia, non assumere soggetti legati ad esponenti della cosca, non favorire un soggetto legato ad esponenti della cosca lasciandolo abitare senza aver mai pagato il canone di locazione (soggetto che tuttora risiede in codesto “casello ferroviario”), non approvare delocalizzazioni o varianti in favore di soggetti vicini alla cosca, non minacciare con “querele generiche” coloro che denunciano situazioni poco limpide.

Detto questo preferiamo pensare che una commissione di indagine si insediò nel 2015 non per una intervista per quanto “esplosiva” di un gruppo volenteroso di studenti, ma grazie alle numerosissime denunce di Donato Ungaro e Catia Silva due cittadini di Brescello che hanno pagato, e stanno tuttora pagando, in prima persona per il loro senso civico.

Ci chiediamo a questo punto, confessando preventivamente la nostra ignoranza in senso giuridico, come mai in un comune commissariato per mafia, nessuno sia stato raggiungo da almeno un avviso di garanzia. Chi ha aperto materialmente le porte del comune alla cosca Grande Aracri? Quali sono i dipendenti comunali, se ve ne sono, che hanno favorito questo ingresso? Chi all’interno delle amministrazioni che si sono succedute nei decenni  ha permesso una tale infiltrazione mafiosa che ha portato allo scioglimento di un comune?

Non vorremmo che alla fine della storia gli unici ad aver realmente pagato lo scotto fossero stati proprio coloro che hanno alzato la testa e si sono opposti all’andazzo.

L’aria che si respira a Brescello è di attesa. Attesa per il termine del commissariamento e delle successive elezioni: chi si presenterà? Dovremo assistere ancora al gioco delle tre carte, dove “i soliti noti” si scambiano i ruoli in una sorta di gioco gattopardesco dove “tutto cambia perché nulla cambi”? Le risposte potranno darle solamente gli stessi cittadini brescellesi  ovviamente.

Dal canto nostro noi continueremo ad essere presenti il più possibile per quanto l’impegno gravoso di raccontare il processo Aemilia ci porti via molto tempo ed energia. Per concludere ci teniamo particolarmente che passi chiaro il messaggio che noi crediamo profondamente che la gente di Brescello abbia la forza e l’orgoglio di rialzarsi ed unirsi per spezzare quel legame che ha causato lo scioglimento del primo comune emiliano per mafia.

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