top of page
in alto

AEmilia

udienza nr. 130

rito ordinario - primo grado

giovedì 26 ottobre 2017

RASSEGNA STAMPA

cliccare sulla foto per ingrandire e, se presente, su "GO TO LINK"

WORK IN PROGRESS: ATTENZIONE - prima possibile verrà pubblicata anche la trascrizione dell'udienza.

«Grande Aracri disse di uccidere Turrà» - Gazzetta di Reggio 27 ottobre 2017

Sui modi spicci e violenti del 42enne Roberto Turrà - condannato in Appello a 9 anni e mezzo di carcere come appartenente al clan - Valerio ne ha accennato più volte, ma stavolta le sue parole sono ancor più terribili. «Dava fastidio e Nicolino Grande Aracri mi diede l'incarico di ucciderlo. Ma non ci riuscivamo a farlo fuori e in una riunione fu proposto uno scambio con altri 'ndranghetisti: noi avremmo ammazzato la persona che avevano nel mirino a Mantova e loro si sarebbero occupati dell'assassinio di Turrà. Di questo incarico avuto da Grande Aracri fui costretto a parlarne con Gaetano Blasco perché temeva di essere lui il bersaglio». Un omicidio che rimarrà solo a livello di intenzione, come del resto è accaduto - sempre secondo Valerio - a Michele Bolognino («Si stava allargando troppo a Reggio Emilia» dice riferendosi all'imputato di Aemilia rispondendo al difensore Carmen Pisanello) e in precedenza ad Angelo Salvatore Cortese (ora collaboratore di giustizia) perché "non gradito" il suo approdo in Emilia.

«Brescia aveva due facce» - Gazzetta di Reggio 27 ottobre 2017

Ieri un altro botta e risposta interessante e teso allo stesso tempo ha riguardato uno degli imputati più importanti del maxi processo, cioè l'imprenditore Pasquale Brescia, gestore del ristorante "Antichi Sapori" di Gaida e del maneggio New West Ranch di Cella.L'avvocato difensore Girolamo Mancino ha insistito parecchio con il collaboratore di giustizia sui rapporti di Brescia con le forze dell'ordine: «Ha sempre avuto buoni rapporti, di frequentazione quotidiana». Sempre il difensore , facendo riferimento ad un interrogatorio del luglio scorso di Antonio Valerio alla Dda, interpreta il pensiero del pentito su Brescia come di una persona che ha un'evidente ammirazione per la divisa. Ma il legale viene smentito. «Brescia attira le divise, è una calamita, si trova a suo agio con loro - replica Valerio - ma davanti fa una faccia e dietro ne fa un'altra. Avvicina le forze dell'ordine, ma nel contempo si dà disponibile per il gruppo. Come ha fatto Nicolino Sarcone, che è stato in carcere, ad avere il passaporto e per di più senza pagare (le onerosissime tasse ministeriali, ndr)? Tramite Brescia e i suoi agganci». Poi sulla vicenda della lettera che Brescia indirizzava al sindaco Luca Vecchi per metterlo sotto pressione, Valerio conferma: «Ne venni a conoscenza in carcere a Prato tramite Totò Muto (classe 1955) a cui Brescia aveva scritto una lettera e inviato pure un ritaglio di giornale con il suo nome. Muto si arrabbiò perchè non voleva che il suo nome andasse sul giornale e non era d'accordo con quel modo di fare». Alla domanda del difensore sul contenuto della lettera, il pentito nega di averla letta.

Valerio rivela ad Aemilia «Noi più forti dei Casalesi» - Gazzetta di Reggio 27 ottobre 2017

di Tiziano Soresina

Il pentito Antonio Valerio ritorna sul clan radicatosi nel Reggiano e ne illustra il momento-chiave (che colloca nel 1992), l'organizzazione "orizzontale" e soprattutto la forza della cosca.Quando l'avvocato difensore Vincenzo Belli domanda cosa avvenisse se un'altra organizzazione mafiosa volesse fare un "recupero crediti" a Reggio, il collaboratore di giustizia cita uno specifico episodio.

CAMORRA RESPINTA. «I Casalesi - rimarca - vennero qua e si rivolsero a Sarcone. Noi andammo a Bibbiano e io misi il "carico da 11" dicendo che non devo niente a nessuno». E in un secondo momento l'affondo più aggressivo: «Da Reggio Emilia dovete sparire e non vi voglio più vedere».Insomma, Valerio dice chiaramente che la cosca era in grado di respingere le "invasioni" di gruppi mafiosi esterni, essendo «ben considerata» negli ambienti della criminalità organizzata: «Eravamo collegati con altre strutture, sono andato a casa di Zagaria» riferendosi al boss camorrista

«A STATUTO SPECIALE». Nell'ennesima "tappa" dedicata ai controinterrogatori il pentito non si lascia sfuggire la possibilità di definire meglio la sua carriera criminale («Ero uno a statuto speciale 'ndranghetistico, con una mia autonomia. Il riferimento del clan era Sarcone, ma mi ero preso il mio spazio e anche in carcere stavo neutro, appartenevo a tutti i gruppetti e a nessuno»), per poi entrare più nel merito di come si muoveva la cosca, definendola «orizzontale, per non dare punti di riferimento», cioè in cui i membri, pur nel rispetto delle gerarchie, potevano muoversi piuttosto autonomamente.

STRUTTURA FLUIDA. «Sarcone era il capo dal 2007, ma si decise che la 'ndrangheta doveva essere diversa, la coppolicchia e la lupara erano un'icona superata». Una cosca dunque fluida, prosegue il collaboratore di giustizia, legata ma indipendente non solo alla «casa madre» di Cutro, ma anche al suo interno. «Qui al Nord c'è tolleranza, non siamo nella profonda Calabria e anche là le cose sono cambiate e la 'ndrangheta non è più quella di osso, mastrosso e carcagnosso (i tre cavalieri spagnoli che, nella leggenda, avrebbero fondato le mafie moderne, ndr)».

RITI E GRADI. Le domande dell'avvocato difensore Carmen Pisanello gli fanno inoltre ripercorrere i maggiori "gradi" raggiunti nel contesto ndranghetistico: la "santa", il "trequartino" e il "quartino".Ma di questi riti d'affiliazione non ne parla con trasporto, anzi li ritiene superati: «Sono cose folcloristiche, allegoriche, conta quello che hai fatto. Io il marchio 'ndranghetistico ce l'avevo già al Nord, non avevo bisogno di cariche. Nel 1992 facemmo dei fatti di sangue (l'allusione è agli omicidi di Nicola Vasapollo a Reggio Emilia e Giuseppe Ruggiero a Brescello, ndr) e avevamo dimostrato cosa sapevamo fare e quello valeva più delle cariche che, se percepite all'esterno, vieni individuato come 'ndranghetista».Racconti che restano comunque nel solco di un confronto piuttosto "elettrico" fra Valerio (spesso sbeffeggiante ed ironico) e gli avvocati che l'interrogano nell'aula-bunker, per non parlare del nervosismo nelle "gabbie" stoppato dalla Corte («Dovete seguire in silenzio»).

​​

cliccare sulla foto per ingrandire e, se presente, su "GO TO LINK"

bottom of page