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udienza nr. 1

AEmilia

rito ordinario - primo grado

mercoledì 23 marzo 2016

Seguiamo l'apertura dello storico processo dalla aula adiacente all'aula bunker, gremita dai familiari degli imputati.

Dalle prossime udienze potremo accedere direttamente all'interno dell'aula bunker.

Prima udienza - rito ordinario - del più grande processo alla 'ndrangheta.
Per numero di imputati è, al momento, secondo solamente al maxi-processo di Palermo.

Un processo storico dal quale è doveroso partire con una nuova e rafforzata consapevolezza del radicamento mafioso in Emilia-Romagna. Questa è una giornata storica, che segna un punto di svolta. Essere qui non basta. Impossibile essere qui e non condividere ciò che vediamo e ciò che sentiamo, è qualcosa di troppo grande. Impossibile uscire da quest'aula ed essere le stesse persone. Ecco perchè abbiamo deciso di condividere con chiunque ci leggerà, ciò che abbiamo visto e sentito.

VAI A: APPROFONDIMENTI: L'importanza del processo AEmilia

di Agende Rosse - Perché è tanto importante questo processo? Questo processo sancisce, speriamo una volta per tutte il fatto che in Emilia Romagna non si manifestano esclusivamente tipici episodi di criminalità organizzata, ma che è ormai evidente che la mafia si è fatta sistema. Gli elementi ci sono tutti: contatti con la massoneria e con la Corte di Cassazione, troviamo professionisti, mass media, forze dell’ordine, politici, amministratori comunali una chiesa incapace di fronte agli eventi e in taluni casi negazionista, imprenditori e naturalmente ci sono anche i mafiosi. Quindi un circuito vero e proprio, un sistema...(continua)

RASSEGNA STAMPA

Aemilia, i verbali del pentito di ‘ndrangheta: “C’era patto con politico Pdl per lavoro in cambio di voti”
Il Fatto Quotidiano.it - 23 marzo 2016 - di David Marceddu
 

Pino Giglio, il primo pentito di ‘ndrangheta in Emilia Romagna, sta parlando e confermando le ipotesi della Direzione distrettuale antimafia di Bologna.

L’imprenditore originario di Crotone, ma da più di 20 anni in affari al nord, ha iniziato a collaborare con la giustizia lo scorso 9 febbraio, dopo un anno di carcere passato al 41bis e pochi giorni dopo che nel rito abbreviato del processo Aemilia i pm avevano chiesto per lui 20 anni di carcere con l’accusa di associazione mafiosa e altri reati. E le sue confidenze – che andranno comunque vagliate e verificate sia dalle indagini che da un eventuale processo – confermano il quadro che in anni di indagini la Dda aveva ricostruito. I pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi infatti lo considerano uno degli organizzatori della cosca emiliana, soprattutto in campo imprenditoriale con la gestione degli appalti e le operazioni di fatturazioni inesistenti. Proprio nella mattina del 23 marzo è iniziato a Reggio Emilia il dibattimento in rito ordinario del processo Aemilia e Giglio potrebbe essere chiamato davanti al giudice, ma stavolta come testimone.

A verbale Giglio prima racconta il suo arrivo in Emilia nel 1992, i primi contatti con gli imprenditori del posto, il lavoro come camionista per i grandi appalti pubblici in Emilia in quegli anni, le prime attività di false fatturazioni. Poi inizia a parlare dei fatti riportati nell’inchiesta Aemilia. Conferma i nomi, la struttura dell’organizzazione e i legami degli ‘emiliani’ con Cutro e con Nicolino Grande Aracri in persona. Spiega di non essere personalmente un affiliato, ma di essere comunque un grosso punto di riferimento “nel circuito di fatture, nelle mie conoscenze dei lavori”.

I rapporti con la politica. Sin dai primi verbali, scovati dall’Ansa, Giglio ricorda come nel 2012 Alfonso Diletto, considerato dai pm uno dei capi della associazione mafiosa emiliana, gli parlò di un possibile patto con un politico. Il riferimento è all’allora capogruppo in provincia del Pdl Giuseppe Pagliani per il quale i pm hanno chiesto in rito abbreviato 12 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Giglio riporta ai pm quanto gli avrebbe detto allora Diletto in persona: “Guarda non è solo per l’interdittiva che ci hanno dato, ma abbiamo la possibilità perché abbiamo fatto un patto con il politico Pagliani che ci darà del lavoro. In cambio noi gli dobbiamo trovare dei voti”. Un patto con Pagliani (il quale ha sempre respinto ogni accusa) che poi però sarebbe saltato: “Non è andato avanti solo perché poi cioè… per tutte le notizie, cioè per il polverone che si era alzato, diciamo, sia di giornalismo e sia per il resto, giustamente, non è andato avanti”.

I rapporti con l’imprenditore Bianchini. Tra le pagine delle prime deposizioni di Giglio c’è un lungo riferimento ad Augusto Bianchini, l’imprenditore di San Felice sul Panaro, in provincia di Modena, oggi a processo accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Di Bianchini, che Giglio dice di conoscere da oltre 10 anni, il pentito ha ricostruito incontri e rapporti d’affari, spiegando ai pm di essere stato lui a presentarlo a Michele Bolognino, un altro di coloro che i pm ritengono uno dei capi dell’organizzazione ‘ndranghetista. E che li fece incontrare proprio quando il figlio di Bianchini aveva avuto bisogno di recuperare un credito da parte di un calabrese. Secondo il racconto del pentito a recuperare quei soldi ci pensarono poi proprio Bolognino e Diletto.

E il collaboratore di giustizia ricorda anche di come Bianchini gli avrebbe sempre parlato di come fosse importante “oliare”. “Tangenti”, chiede il pm Mescolini. “Esatto!”, risponde Giglio. “Ma lei sa chi?”, domanda il pm. “No – risponde Giglio riferendosi a Bianchini – nomi non me ne ha mai fatti”.

Parti civili, il comune di San Felice chiede 25 milioni al costruttore Bianchini

Gazzetta di Reggio - 28 marzo 2016

 

Trenta milioni di euro di risarcimento, di cui 25 chiesti dall’avvocato Valeria de Biase per il Comune di San Felice e dei suoi cittadini.

È il conto - provvisorio - che la Bassa ha presentato ad Augusto Bianchini (in foto), all’apertura del dibattimento del processo Aemilia, mercoledì a Reggio. Il pentito Giuseppe Giglio - amico in affari di Bianchini - ha infatti acceso i riflettori sugli appalti pubblici aggiudicati a suo tempo alla ditta dell’imprenditore di San Felice, oggi in amministrazione e tutela giudiziaria. Una rivelazione (per avere gli appalti bisognava “oliare”, gli avrebbe detto Bianchini) con la conseguente necessità per la Dda di cercare - questa volta - chi siano stati i beneficiari di quelle “oliazioni”, cui il pentito si riferisce. Quantificare la cifra dei 25 milioni non è stata una perizia riassuntiva dei danni ma la cifra della perizia presentata dalla stessa Bianchini quando si provava a “tombare” con il cemento la famosa montagna di inerti all’amianto che si trova ancora nella sede della ditta Bianchini.

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