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rito ordinario - primo grado

udienza nr. 90-91

AEmilia

martedì 23 e giovedì 25 maggio 2017

Braccio di ferro fra gli avvocati difensori e la Corte del maxiprocesso.

RASSEGNA STAMPA

Sciopero, salta il processo Aemilia

 

Sciopero, salta il processo Aemilia - Gazzetta di Reggio 23 maggio

Quattro giorni di sciopero dalle udienze contro il "Ddl penale", da ieri fino al 25 maggio. A proclamarli anche l'Unione delle Camere Penali di Reggio Emilia, i cui avvocati da ieri mattina si sono astenuti dal partecipare alle udienze. A saltare saranno anche le udienze di oggi e giovedì del maxi processo Aemilia. Il "Ddl penale" è approdato ieri in discussione alla Camera, e l'associazione dei legali contesta soprattutto due punti del provvedimento: le norme sulla prescrizione e l'estensione del processo a distanza. L'Ucpi parla di «adesione massiccia» allo sciopero e «centinaia di processi fermi in tutta Italia». La Giunta dell'Unione delle Camere Penali Italiane, con le tre precedenti delibere di astensione aveva denunciato «i limiti della riforma del processo penale di iniziativa governativa, con interventi disorganici, contraddittori, irragionevoli e incostituzionali, quali quelli sulla prescrizione e sul cosidetto processo a distanza, e che al suo interno contiene interventi normativi che non solo deprimono le garanzie del processo, violando i principi costituzionali della immediatezza e del contraddittorio, ma anche la presunzione di innocenza e il diritto alla vita, nel disprezzo dei principi costituzionali e convenzionali» scrive l'organo nel comunicato. «L'Ucpi ha denunciato, altresì, l'assoluta inammissibilità dell'uso della fiducia ai fini dell'approvazione del Ddl, che incide in profondità sull'intero sistema processuale e sui diritti e sulle garanzie dei cittadini. Nonostante la massiccia adesione alle precedenti astensioni, l'attenzione mostrata dai media e dall'opinione pubblica alle tematiche oggetto della protesta, e nonostante le molteplici adesioni del mondo dell'accademia e le convergenti critiche sollevate da diversi esponenti della politica nei confronti della riforma, il Governo non ha tutt'ora ritenuto di dare alcun segnale di attenzione, fermo nella intenzione di ricorrere al voto di fiducia».

Mafia al Nord, a Reggio il processo-record - Gazzetta di Reggio 24 maggio

Per numero di imputati è il procedimento più rilevante dopo quello che Falcone incardinò a Palermo

Un maxiprocesso per mafia, ossia una corsa contro il tempo per non far scadere i termini delle numerose carcerazioni in atto: trent’anni fa al Sud, ora al Nord e con l’aula-bunker di Reggio come storico luogo in cui si snodano le udienze-fiume.
Colpisce parlarne in queste ore in cui vengono ricordati i 25 anni dalla strage di Capaci, dove fu ucciso il magistrato Giovanni Falcone (insieme alla moglie e a tre agenti della scorta) che tre decenni fa istruì con Paolo Borsellino (magistrato antimafia che rimase vittima di un attentato pochi mesi dopo la morte di Falcone) il primo maxiprocesso alla criminalità organizzata. Nel biennio 1986-87 si concretizzò la prima aggressione giudiziaria a Cosa nostra, in Sicilia. Trent’anni dopo il processo dai “numeri” roboanti si è spostato di molto dal profondo Sud, ha l’Emilia come “palcoscenico” e la ’ndrangheta come associazione mafiosa alla sbarra. Affari criminali che cambiano, come ha ben spiegato – ieri a Milano – Gaetano Calogero Paci, procuratore aggiunto della Procura di Reggio Calabria: «Quello che accade in Calabria è frutto di tante ragioni: storiche, culturali, legate alle difficoltà di collegamento e marginalizzazione geografica, ma anche frutto di una lunga stagione di disattenzione e sottovalutazione, di una stagione di isolamento – ha aggiunto – e i frutti di questo oggi li troviamo sparsi in tutta Italia: non c'è inchiesta di medio livello del mio ufficio che non abbia conseguenza in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna. Tutto quello che si fa in Calabria ha un collegamento con il resto d'Italia ma anche del mondo». Oggi la 'ndrangheta «non si occupa più di sequestri di persona ma di realizzare opere sofisticate, inserite nei più grossi appalti nazionali e internazionali – ha concluso – dalla Salerno-Reggio Calabria, all'alta velocità, opere tecnologicamente avanzate». Furono da primato i “numeri” del maxiprocesso palermitano alla Cupola: 475 imputati (inizialmente erano oltre 700), 349 udienze, 19 ergastoli, condanne per 2.665 anni di reclusione, 114 assoluzioni, multe per 11 miliardi di vecchie lire. Non è da meno Aemilia, il più grande procedimento di mafia al Nord Italia: 147 imputati, 45 parti civili, 1.300 testimoni, 18mila intercettazioni, ormai vicino alle 100 udienze...

Aemilia, la Corte va all’attacco dello sciopero dei penalisti - Gazzetta di Reggio 24 maggio - di Tiziano Soresina

Per i giudici l’astensione è illegittima e pongono il caso alla Corte Costituzionale Dopo 9 ore emessa l’ordinanza: «Violata la ragionevole durata del processo».

La Corte del maxiprocesso Aemilia – presieduta da Francesco Caruso, giudici a latere Cristina Beretti e Andrea Rat – va all’attacco degli avvocati penalisti che proseguono nel loro stato d’agitazione (sono ora quattro le udienze saltate) e chiamano in causa la Corte costituzionale.
Un braccio di ferro – in punta di diritto – che ha nel mirino la possibilità per gli avvocati difensori di astenersi dalle udienze anche in presenza di imputati in carcere, nel caso abbiano però l’assenso dei propri assistiti. La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte va, quindi, a cozzare in maniera stridente con le iniziative in campo nazionale dell’Unione Camere Penali che, a suon di scioperi, sta contestando la riforma del processo penale.
Nello specifico i giudici ritengo contro i principi della Costituzione quella parte del codice di autoregolamentazione (l’articolo 2 bis della legge 13 giugno 1990 numero 146) che disciplina la materia dell’astensione degli avvocati. E ieri, dopo nove ore di camera di consiglio, la Corte ha emesso un’ordinanza di 17 pagine che “sospende il giudizio in ordine alla richiesta di rinvio dell’udienza odierna – si legge nel dispositivo dell’atto – formulata dai difensori degli imputati con il consenso degli stessi; manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al presidente del Consiglio dei ministri, nonché di darne comunicazione al presidente del Senato della Repubblica e al presidente della Camera dei deputati; dispone l’immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni alla Corte costituzionale”. Una questione che se accolta può diventare un caso nazionale, anche se non in tempi brevi, visto che per decisioni di questo tipo da parte della Corte costituzionale occorrono diversi mesi se non un anno. E non dimentichiamo che in questo lasso di tempo è facile prevedere che “fioccheranno” altri scioperi proclamati dalle Camere Penali. L’associazione dei penalisti è presieduta – a Reggio – dall’avvocato Noris Bucchi che come difensore impegnato nel processo Aemilia ieri si è astenuto, non presentandosi in udienza. «Non conosco il contenuto dell’ordinanza – si limita a dire l’avvocato Bucchi contattato in serata dalla Gazzetta – quindi mi riservo di fare delle dichiarazioni solo dopo aver letto con attenzione l’ordinanza stessa».
Sono sei i profili-cardine individuati dalla Corte a fondamento della questione di legittimità costituzionale sollevata, il tutto facendo leva su una valutazione ben precisa che ricorre in più punti dell’ordinanza: “Il processo nel quale la questione è sollevata, è un processo di criminalità organizzata (imputazioni prevalenti ex articolo 416 bis del codice penale) con più di 150 imputati – rimarcano i giudici – e centinaia di capi d’imputazione, una mole abnorme di atti d’indagine e di prove assunte e da assumere, comprese decine di migliaia di intercettazioni telefoniche ed ambientali. In questo contesto la reiterazione di astensioni e di rinvii – qui l’affondo è contro i penalisti – disarticola e sconvolge la programmazione della fase dibattimentale, con aggravio consistente dei costi, posto che l’allestimento dell’aula, la sua sicurezza, i servizi di vigilanza e di videocollegamento producono rilevanti costi fissi. Si tratta peraltro di quelle generiche esigenze di giustizia che la Cassazione ha valutato come recessive rispetto al diritto di astensione. Il profilo che il tribunale intende esaminare è perciò diverso e attiene all’effetto del rinvio sulla libertà personale degli imputati, sul giusto processo con imputati detenuti, sul diritto di difesa, sul rapporto fra ragionevole durata del processo e durata del termine massimo di “carcerazione preventiva” che il legislatore ha fissato in determinati limiti”. Va specificato che a tutti i detenuti del processo Aemilia viene contestata l’aggravante mafiosa, quindi il termine massimo di carcerazione preventiva è di sei anni (sono in cella dal gennaio 2015 e siamo ancora al primo grado di giudizio...), inoltre che quando scatta lo sciopero dei penalisti i termini di custodia cautelare vengono congelati finché non riprende il processo.

Sciopero contestato, penalisti in trincea - Gazzetta di Reggio 25 maggio - di Tiziano Soresina

L’ordinanza di anticostituzionalità emessa dalla Corte è ora allo studio del direttivo reggiano della Camera Penale

L’ordinanza contro lo sciopero degli avvocati penalisti che pone il dubbio di costituzionalità può davvero diventare un caso nazionale.
Già è significativo che questa “mossa” sia stata effettuata dalla Corte del maxiprocesso Aemilia (il più grande procedimento di mafia mai tenutosi al Nord Italia), ma anche l’atteggiamento tenuto ieri dagli esponenti reggiani della Camera Penale fa capire come la posta in ballo sia alta. Se, infatti, la Corte costituzionale ritenesse fondata la questione (in soldoni per i tre giudici di Aemilia il diritto allo sciopero dei difensori nei processi con detenuti va contro la nostra Carta fondamentale, anche se acconsentono i detenuti stessi), ciò avrebbe ripercussioni su non pochi importanti processi. Oltretutto in un clima di forte protesta da parte delle Camere Penali che non solo “denunciano i limiti della riforma del processo penale di iniziativa governativa”, ma lasciano intendere che arriveranno altre astensioni dalle udienze.
Ma torniamo ai penalisti reggiani che ieri hanno, in pratica, fatto quadrato. «La delicatezza dei temi affrontati – si limita a dire, attraverso una nota, l’avvocato Noris Bucchi, presidente provinciale delle Camere Penali – e l’ampiezza con la quale questi sono stati trattati, rende necessario un approfondimento che il nostro direttivo si riserva di effettuare nell’arco di qualche giorno solo all’esito del quale saremo, quindi, in grado di prendere posizione». Una riflessione in punta di diritto che perciò coinvolgerà i cinque componenti del direttivo reggiano, cioè il presidente Bucchi e gli avvocati Nicola Tria, Maurizio Colotto, Federica Riccò ed Angelo Russo. Un summit che vedremo a quale replica porterà.
Sono sei i profili-cardine individuati dalla Corte a fondamento della questione di legittimità costituzionale sollevata, il tutto facendo leva su una valutazione ben precisa che ricorre in più punti dell’ordinanza: “Il processo nel quale la questione è sollevata, è un processo di criminalità organizzata (imputazioni prevalenti ex articolo 416 bis del codice penale) con più di 150 imputati – rimarcano i giudici – e centinaia di capi d’imputazione, una mole abnorme di atti d’indagine e di prove assunte e da assumere, comprese decine di migliaia di intercettazioni telefoniche ed ambientali. In questo contesto la reiterazione di astensioni e di rinvii – qui l’affondo è contro i penalisti – disarticola e sconvolge la programmazione della fase dibattimentale, con aggravio consistente dei costi, posto che l’allestimento dell’aula, la sua sicurezza, i servizi di vigilanza e di videocollegamento producono rilevanti costi fissi. Si tratta peraltro di quelle generiche esigenze di giustizia che la Cassazione ha valutato come recessive rispetto al diritto di astensione. Il profilo che il tribunale intende esaminare è perciò diverso e attiene all’effetto del rinvio sulla libertà personale degli imputati, sul giusto processo con imputati detenuti, sul diritto di difesa, sul rapporto fra ragionevole durata del processo e durata del termine massimo di “carcerazione preventiva” che il legislatore ha fissato in determinati limiti”. Ma c’è anche un’altra sottolineatura: “Sono gli imputati detenuti a pagare il costo dell’astensione poichè non solo la loro custodia cautelare potrebbe protrarsi per tempi non predefiniti, ma rispetto a un’eventuale valutazione di ingiusta detenzione non potrebbero far valere in alcun modo il diritto all’indennizzo per tutti i giorni di ingiusta custodia cautelare sofferta».

«Terre del Po da tempo nel mirino del clan» - Gazzetta di Reggio 25 maggio - di Tiziano Soresina

Nel libro “Fuoco criminale” la giornalista Rossella Canadè racconta la difficile lotta alla ’ndrangheta

I processi sono ancora in corso su quel filo ndranghetistico che per l’Antimafia lega l’Emilia alla Lombardia. Un brusco risveglio, come illustra Rossella Canadè – giornalista della Gazzetta di Mantova – nel libro “Fuoco criminale” (edito da Imprimatur) in cui analizzaspecificatamente le indagini mantovane (l’operazione Pesci), per poi allargare gli orizzonti ai “contatti” con la maxi inchiesta Aemilia.
Lo studioso Enzo Ciconte dice che c’è ancora tanto da raccontare sulla ’ndrangheta...
«Vero, perché non è stato facile – entra nel merito la cronista-scrittrice – far breccia sulla gente, costruire consapevolezza. La Gazzetta di Mantova ne ha sempre scritto del radicamento mafioso, ma cercavano di screditarci. Ora le cose stanno cambiando, anche se non aiuta il fatto che i processi si tengano lontano da Mantova».

Come racconti, nel libro, quanto peso, per la Dda, stava avendo la ’ndrangheta nelle terre del Po?
«Mi sono messa alla prova. Ho studiato tutte le carte dell’inchiesta: un romanzo criminale, ma terribilmente reale. E il libro mi ha permesso di fare quello che non riesci in un articolo, cioè delineare bene i personaggi, mettere in fila gli avvenimenti con dovizia di particolari. Per far entrare pian piano il lettore in queste vicende crude, piene di affari sporchi, di pressioni».
Per gli inquirenti il clan Grande Aracri ha messo da tempo le mani sulle province di Reggio e Mantova.
«Nelle inchieste Pesci ed Aemilia ricorrono vari nomi. Sul versante mantovano poi il boss Nicolino Grande Aracri, per la prima volta al Nord, viene accusato di associazione mafiosa. Gli investigatori lo descrivono come un capo molto furbo, che lascia autonomia alla ’ndrina, perlomeno finché gli affari funzionano. Per la Dda con un vincolo di sudditanza che esce nitidamente dalle intercettazioni».
Sia a Reggio che a Mantova una “spia” importante sono stati gli incendi dolosi per capire a che punto d’allarme fosse arrivata la morsa ndranghetista. Auto che andavano a fuoco a ripetizione...
«Roghi inizialmente molto sottovalutati. Fiamme appiccate per intimidire le persone che si ribellavano al clan, oppure un modo per mandare messaggi trasversali in ambito criminale».
Ricordo quando ti accompagnai, a Reggio, dall’allora procuratore capo Italo Materia. Un punto di partenza?
«Sì, ero alle prime armi, mi fece capire molte cose. Come è accaduto pure con il pm Pierpaolo Bruni della Dda di Catanzaro».
Cosa ti ha colpito di più dall’esito delle inchieste?
«La ’ndrangheta al Nord non spara, ma sa entrare illegalmente nel tessuto economico con una forza incredibile, facendo affari con le istituzioni ed estorsioni in campo edile. Un basso profilo, un radicamento, a cui non possiamo più essere indifferenti, bensì bisogna stare con gli occhi sempre più aperti».

Aemilia, nuovi scioperi in arrivo - Gazzetta di Reggio 26 maggio

Le Camere Penali deliberano un’ulteriore settimana di astensione dalle udienze

Come previsto, ieri è saltata l’ennesima udienza del maxiprocesso Aemilia (è la quarta volta che accade) sulla scia dello stato di agitazione proclamato da tempo dalle Camere Penali per protestare sia contro la riforma del processo penale, sia contro l’uso del voto di fiducia per ottenerne l’approvazione alla Camera (come già avvenuto in Senato).
Una situazione che si ripeterà però presto, visto che a Roma l’Unione Camere Penali ha già deliberato un’ulteriore settimana – a giugno – di sciopero. Comunque sia, si tornerà nell’aula-bunker martedì con altre testimonianze. Sinora sono state circa duecento le deposizioni raccolte (sentiti quasi tutti i testimoni indicati dai pm antimafia Marco Mescolini e Beatrice Ronchi e dalle 45 parti civili), quindi d’ora in avanti si entrerà nel vivo relativamente agli esami degli imputati (ma quanti dei 147 accusati vorranno effettivamente parlare?) e delle testimonianze indicate dalle difese (un numero forse notevole, visto che formalmente sarebbero 1.300 i testimoni richiesti quando partì il procedimento nel marzo 2016). Sinora le udienze di Aemilia sono state più che altro affollate dagli studenti, già oltre il migliaio e si è sempre trattato di classi giunte da mezza Italia e con una preparazione adeguata (grazie all’opera di sensibilizzazione dell’associazione antimafia Libera). Comunque la “platea” è stata di gran lunga più estesa, perché un’altra associazione antimafia (Agende rosse) garantisce il resoconto del procedimento contro la ’ndrangheta nel profilo Facebook appositamente dedicato.

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