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AEmilia

udienza nr. 150

rito ordinario - primo grado

giovedì 18 gennaio 2018

RASSEGNA STAMPA

I carabinieri trovano armi, munizioni e droga: un arresto e due denunce

Piacenza Sera 23 gennaio 2018

L’operazione, che ha portato i militari piacentini anche nelle province di Reggio Emilia e Crotone, sarebbe scaturita da dichiarazioni rese nel corso del maxi processo “Aemilia” sulle infiltrazioni mafiose nel nord Italia: nelle ultime ore i carabinieri di Modena hanno tratto in arresto un 39enne ritenuto il reggente della cosca emiliana della ‘ndrangheta stroncata nell’inverno di tre anni fa da una maxi operazione. Due pistole, una “penna” perfettamente in grado di sparare, munizioni e droga. A trovarli, nel corso di alcune perquisizioni nel cremonese sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, i carabinieri del nucleo investigativo di Piacenza: una persona è stata arrestata, altre due denunciate a piede libero. Tutte risultano incensurate. L’operazione, che ha portato i militari piacentini anche nelle province di Reggio Emilia e Crotone, sarebbe scaturita da dichiarazioni rese nel corso del maxi processo “Aemilia” sulle infiltrazioni mafiose nel nord Italia: nelle ultime ore i carabinieri di Modena hanno tratto in arresto un 39enne ritenuto il reggente della cosca emiliana della ‘ndrangheta stroncata nell’inverno di tre anni fa da una maxi operazione. Nel corso di una perquisizione in provincia di Cremona gli uomini del nucleo investigativo di Piacenza hanno recuperato, nascosta nel sottotetto di un’abitazione, una scatola contenente una Beretta modello 35, calibro 7,65 con canna di riserva, una “penna pistola”, ed alcuni proiettili. “Una scatola pronta all’uso con armi perfettamente funzionanti” – hanno sottolineato i militari dell’Arma in una conferenza stampa alla quale hanno partecipato il comandante provinciale Colonnello Corrado Scattaretico e il comandante del nucleo investigativo Maggiore Massimo Barbaglia. La Beretta, arma clandestina, risulta essere stata venduta all’esercito tedesco nel 1944: per il suo possesso è stato arrestato un 27enne di Sesto ed Uniti. Una seconda pistola, questa volta una 357 Magnum, è stata invece trovata nelle disponibilità di un 46enne di Crotta D’Adda, sempre nel cremonese. Arma in questo caso detenuta legalmente, non così le munizioni che sono state recuperate per le quali l’uomo è stato denunciato. Nei guai è finita anche la compagna, una donna 47 anni, per il possesso di alcuni grammi di hashish. “Si tratta di un’operazione su iniziativa della polizia giudiziaria – hanno spiegato il colonnello Scattaretico e il maggiore Barbaglia -, finalizzata alla ricerca di armi, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia che è ovviamente a conoscenza di quanto abbiamo trovato e delle persone arrestate e denunciate”.

Piacenza sera - Processo Aemilia, perquisizioni dei carabinieri: trovate armi e droga

Camionista picchiato: “Non si trattò di spedizione punitiva” – video - Reggionline – 23 gennaio 2018

Nell’interrogatorio in tribunale, i tre cutresi accusati di aver malmenato e minacciato l’autotrasportatore hanno fornito la loro versione. Il loro avvocato ha chiesto la scarcerazione, ora la parola la giudice

REGGIO EMILIA – Nessun spedizione punitiva, ma una scazzottata già risolta e chiarita. Smontano tutte le accuse Giuseppe Arabìa, 51 anni, il figlio Salvatore Arabìa, 24 anni e Salvatore Spagnolo, 26 anni, durante l’interrogatorio in tribunale. I tre sono accusati di aver picchiato un camionista siciliano di 38 anni finito poi all’ospedale con una prognosi di 90 giorni.

Il pmGiacomo Forte li ha accusati di lesioni aggravate, violenza privata e, per il solo Giuseppe, minaccia aggravata, oltre alle lesioni lievi per tutti e tre nei confronti della fidanzata della vittima, una donna polacca, accorsa in suo aiuto e colpita a sua volta. Per la procura fu una spedizione punitiva nata per un credito non onorato. La vittima fu anche derubata, ma non hai mai sporto denuncia anche per le minacce di morte ricevute.

Per i tre cutresi la realtà è molto diversa e l’hanno ricostruita rispondendo alle domande del giudice. A confermare il racconto il loro difensore, l’avvocato Nino Ruffini. Torniamo a quel 24 giugno scorso: quella sera Giuseppe Arabia va effettivamente a casa del camionista per farsi restituire un telecomando, lascia la macchina con le 4 frecce accese in strada. Una volta nel cortile, è lui a essere aggredito del camionista visibilmente ubriaco. Cerca di difendersi e ne nasce una scazzottata. Nel frattempo gli altri due, Salvatore Arabia e Salvatore Spagnolo passano di li per caso dopo essere stati al Bar Fashion a pochi chilometri di distanza e notano la macchina di Giuseppe, si fermano. Vedono i due che se le danno di santa ragione e così finiscono anche loro a menare calci e pugni. E, sempre secondo la ricostruzione dei tre che sarebbe confermata da testimoni, sarebbe finita li. Così però non la pensano gli inquirenti.

Giuseppe Arabia e Salvatore Spagnolo sono in carcere, mentre Salvatore Arabia incensurato è ai domiciliari. L’avvocato Ruffini ha chiesto per tutti la revoca degli arresti e, dunque di rimetterli, in libertà. Ora la parola passa al Giudice Ghini che dovrà decidere entro 48 ore.

Arrestato Sarcone junior, “faccia bella” della ‘ndrangheta – La Stampa – 23 gennaio 2018

Gli inquirenti si sono basati sulle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia nell’ambito della maxi inchiesta Aemilia

Ai due fratelli arrestati nel 2015 nel quadro della maxi inchiesta Aemilia contro la ‘ndrangheta, Nicolino e Gianluigi Sarcone, si è aggiunto il terzo: Carmine Sarcone, 39 anni, la notte scorsa è stato fermato dai carabinieri di Modena a Cutro, nel Crotonese, secondo il mandato emesso dalla Dda di Bologna per associazione mafiosa. Gli inquirenti si sono basati sulle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia che hanno indicato in Carmine il presunto capo cosca in Emilia dopo che il fratello Nicolino, già condannato a 15 anni di reclusione con rito abbreviato e ritenuto il boss dell’organizzazione in questa zona, era stato rinchiuso in carcere.

Un’organizzazione criminale, come venne spiegato dai magistrati della Dda fin dall’inizio di un’indagine che ha messo sotto processo oltre 200 persone, saldamente radicata fra le province di Reggio e Modena e dotata di una propria autonomia rispetto alla realtà calabrese di provenienza dei suoi protagonisti. Intimidazioni, estorsioni, pesanti infiltrazioni nel tessuto economico della regione attraverso il controllo di ditte di costruzione e di trasporto, condizionamento di amministrazioni locali, questo il repertorio delle attività illegali messe in atto dalla cosca in Emilia.

L’attività investigativa coordinata dal procuratore distrettuale Giuseppe Amato e dai pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi ha trovato riscontro alle dichiarazioni di numerosi pentiti, fra cui Antonio Valerio, Giuseppe Giglio e Salvatore Muto, e dalle prime ore di questa mattina circa cento carabinieri con l’aiuto di unità cinofile hanno eseguito decine di perquisizioni alla ricerca di armi. Secondo gli inquirenti, Carmine Sarcone gestiva direttamente le attività criminali e il patrimonio accumulato illecitamente dalla cosca, oltre a rappresentare i fratelli detenuti all’interno dell’organizzazione e a cercare di risolvere i contrasti interni alla struttura. I colloqui in carcere servivano poi a un continuo scambio di informazioni fra i malavitosi reclusi e quelli in libertà. Ci sono anche indizi per cui Sarcone avrebbe cercato di influire sull’andamento del processo Aemilia, attualmente in corso a Reggio Emilia, mediante minacce ai testimoni.

I carabinieri di Modena hanno messo in fila i precedenti del sospetto boss appena arrestato: Sarcone risulterebbe implicato in rapine e incendi fin dalla fine degli Anni 90, fino all’arresto per possesso di armi nel 2005. Viene sottolineato il suo ruolo di primo piano nella ‘ndrangheta emiliana, con la partecipazione a incontri di vertice all’interno di aziende coinvolte, insieme ad atti intimidatori compiuti nei confronti delle stesse forze dell’ordine e al sospetto del coinvolgimento nella consegna di armi a un altro boss di prima grandezza, Nicolino Grande Aracri. Viene descritto come molto intelligente, determinato, e con una funzione importante nella guida dell’organizzazione.

Aemilia, arrestato Carmine Sarcone: “Reggeva la cosca emiliana”. Per i pentiti era “la bella faccia della famiglia”

- Il Fatto Quotidiano - 23 gennaio 2018 - di Paolo Bonacini

Fratello di Nicolino e Gianluigi, il primo condannato a 15 anni di reclusione con rito abbreviato e il secondo in attesa della sentenza nell'ambito del maxi processo in corso in questi mesi a Reggio Emilia. I carabinieri di Modena su ordine della Dda di Bologna hanno prelevato il 39enne nell’appartamento della suocera a Cutro

Lo hanno arrestato nella notte a Cutro ed è il terzo dei quattro fratelli Sarcone residenti a Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, a finire in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. E’ Carmine Sarcone, 39 anni, accusato di essere il reggente a piede libero della cosca collegata alla famiglia Grande Aracri della quale suo fratello Nicolino era il capo indiscusso a Reggio. Almeno fino alla notte del 28 gennaio 2015, quando la più grande operazione contro la ‘ndrangheta nella storia del paese diede il via al maxi processo Aemilia con 117 arresti. A Nicolino sono stati confermati nell’appello del rito abbreviato 15 anni di reclusione mentre l’altro fratello in carcere è Gianluigi, che attende la sentenza del rito ordinario in solitudine, dopo aver chiesto ed ottenuto a fine 2017 di essere separato dagli altri detenuti con i quali condivideva le celle della casa circondariale.

A prelevare Carmine Sarcone nell’appartamento della suocera hanno provveduto nelle prime ore di martedì 23 gennaio i Carabinieri coordinati dal Comando di Modena, su ordine della Direzione Antimafia di Bologna; l’arresto rientra in una operazione di vasta scala che coinvolge anche i Carabineri di Piacenza e di Crotone. Sono state in particolare compiute decine di perquisizioni in diverse province del nord e del sud alla ricerca di armi. Le indagini sono coordinate dal Procuratore Distrettuale di Bologna Giuseppe Amato e dai due Pubblici Ministeri del processo Aemilia, Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, che hanno raccolto le testimonianze dei collaboratori di giustizia Antonio Valerio e Salvatore Muto da cui prende avvio l’operazione. Due fiumi in piena, Valerio e Muto, a proposito dei quattro fratelli Sarcone, tutti ritenuti uomini di ‘ndrangheta senza fare distinzioni tra chi era in galera e chi no.

Dice Valerio negli interrogatori del 30 giugno e dell’8 settembre: “Carmine è alla pari dei fratelli, anche se è quello più piccolo. E’ la faccia, diciamo, bella della famiglia. Mentre Gianluigi è quella intelligente. Peppe (il quarto fratello, tuttora libero) è il topo, quello che va ad indagare, d’avamposto, mentre Nicolino è la testa criminale della famiglia. Anche se Carmine non è da meno, perché so poi che partecipò giù a Cutro all’omicidio Dragone come vedetta”. Poi precisa: “Ha partecipato nel 2004 all’omicidio di Dragone e di Ciampà. Fece da staffetta in quegli omicidi lì”.

Un’altra pesante accusa ai due fratelli in libertà la lancia Salvatore Muto riferendo le cose che gli diceva il capo di Cremona e Piacenza Francesco Lamanna. L’interrogatorio è quello dell’11 ottobre: “Sapevo che Giuseppe Sarcone (detto Peppe) era già affiliato dai vecchi tempi e Carmine Sarcone era stato affiliato all’epoca della operazione Scacco Matto. Lamanna dice che il più intelligente era Carmine, che è uno che quando parla sa parlare e si sa spiegare. Parla poco, ma quelle poche parole che dice, le dice giuste. Lui è stato l’ago della bilancia dei Sarcone, perché dal momento che sono stati arrestati sia Nicolino che Gianluigi, c’erano i fatti criminosi, rapine, truffe, spaccio, che se ne occupava Carmine. Lui gestiva e ha tenuto vive le conoscenze; ha fatto valere il suo cognome a Reggio Emilia. Perché non è che i Sarcone erano arrestati e nessuno comandava della famiglia Sarcone. Loro svolgevano l’attività normalmente. E questo l’ha fatto Carmine Sarcone”. Basterebbero queste parole, che fanno riferimento anche agli anni meno recenti dell’inchiesta Edilpiovra, quando Nicolino finì in galera, a giustificare il binocolo puntato dalla direzione Antimafia verso Carmine.

Ma Antonio Valerio dei quattro fratelli Sarcone torna a parlare diverse volte sia nelle deposizioni ai pm che in aula, dipingendoli come un gruppo assolutamente compatto, che incuteva timore e reverenza, nel quale ognuno rappresentava la famiglia al di là delle specifiche attitudini. Non una famiglia qualsiasi; la più importante a Reggio Emilia, come precisa il 6 settembre: “I fratelli Sarcone hanno il comando su Reggio Emilia a livello ‘ndranghetistico, e sotto l’aspetto criminale sono un tutt’uno. Viene un casalese, viene chi so io, si deve rivolgere a Nicolino.” Rivolgersi in questo caso significa riconoscere il potere di controllo della famiglia sul territorio.

“Tutti e quattro?” chiede il Pubblico Ministero Beatrice Ronchi. “Tutti e quattro” risponde Valerio “e assieme a loro c’era il Diletto (Alfonso, già condannato nel rito abbreviato) che ricopriva la parte della Bassa reggiana e di Parma”. Aggiunge ancora Valerio che sono i quattro fratelli Sarcone senza distinzione ad avere “…come dire, egemonia. Ad avere ‘sta nomea che quando si presentavano erano loro, e giustamente sulle persone creavano simpatia, creavano massa, creavano sudditanza, creavano di tutto e di più: cioè tutto quello che può creare una persona autoritaria e autorevole. Loro questa forza qua la trasmettevano agli altri, la facevano percepire e la percepivano. E chi collaborava con loro sapeva con chi aveva a che fare. E cosa doveva fare”.

Di questo gruppo di famiglia autorevole e coeso Carmine Sarcone è il più giovane e per Valerio “fa parte di quella ‘ndrangheta più evoluta, più elettronica, più tecnologica” dei giorni nostri. Lui non ha fatto parte del primo periodo e della stagione di sangue del ’92 quando i fratelli erano già attivi, ma nel “2000 ha cominciato ad entrarci dentro in modo più diretto nelle cose, nella ‘ndrangheta. Carmine non è ladro come Peppe, è più… fighettino, più delicato nelle cose, più sofisticato… Però l’usura se la faceva. E come!”.

Le indagini disposte dopo queste testimonianze hanno dimostrato “la gestione diretta dell’attività e del patrimonio illecito” da parte di Carmine Sarcone e la partecipazione alle riunioni tra gli esponenti della consorteria durante le quali, secondo gli inquirenti, erano pianificati i crimini della cosca e venivano prese le decisioni per mantenerla e rafforzarla. Carmine avrebbe inoltre avuto il ruolo di rappresentante dei fratelli detenuti, con compiti direttivi, e il compito di dirimere i contrasti interni alla struttura. Sono emersi anche “continui scambi di informazioni” tra esponenti detenuti e in libertà, attraverso colloqui in carcere con i parenti. Infine le indagini hanno permesso di raccogliere elementi indiziari sempre contro Carmine Sarcone sui tentativi di indottrinare e minacciare alcuni testimoni del processo Aemilia.

Tre membri su quattro della famiglia di ‘ndrangheta che comandava con base a Bibbiano, culla del parmigiano reggiano, il cui sindaco Andrea Carletti è stato il primo in provincia a costituirsi parte civile, sono ora dietro le sbarre. Ai primi di febbraio inizierà la requisitoria finale dell’accusa ma le indagini di Aemilia, pare di capire, non finiscono qui.

„Fermo della Direzione Antimafia, la prima volta dell'Emilia-Romagna“ - Modena Today - 23 gennaio 2018
„Il nuovo capitolo dell'operazione Aemilia non è solo "un altro" nome sulla lista, bensì la prima misura del genere adottata dalla magistratura antimafia sul nostro territorio. A Carico di Carmine Sarcone contestazioni lunghe vent'anni“
Non è certo un primato di cui poter andare fieri, ma è ugualmente carico di un significato da non sottovalutare. Il fermo emesso dalla Direzione Antimafia a carico di Carmine Sarcone - ritenuto il reggente del gruppo 'ndranghetista locale legato alla cosca Grande Aracri - è infatti il primo provvedimento di questo genere adottato nella nostra Regione. Mai prima d'ora, infatti, la DDA dell'Emilia-Romagna aveva agito in maniera così "interventista" fermando in maniera diretta un sospettato di associazione mafiosa.

Gli indizi a carico del 38enne cutrese, il minore dei fratelli Sarcone e unico ancora in stato di libertà, sarebbero però così corposi schiaccianti da non lasciare dubbi ai PM Ronchi e Mescolini. Sarà la decisione del Gip, attesa nelle prossime ore, a decidere sulla convalida o meno del fermo, accompagnato da trecento pagine di verbale che ripercorrono 20 anni di vita di Carmine Sarcone.

Gli inquirenti hanno infatti scavato a fondo nel passato del calabrese, trapiantato a Bibbiano di Reggio Emilia, mettendo in luce una serie di inchieste del passato in cui il suo nome è figurato, pur senza mai condurre a chiari indizi di colpevolezza. Quello che però i magistrati hanno evidenziato è la contiguità di Sarcone all'organizzazione criminale fin da quando era un adolescente. Si parte addirittura dall'inchiesta sull'attentato al bar Pendolino del 1998 per poi arrivare all'inchiesta "Edilpiovra del 2003", all'operazione "Scacco Matto" del 2011 e infine ai fatti dello scorso anno dell'inchiesta "Valpolicella" della DDA veneta.

 

Il video dell'arresto a Cutro - Modena Today - 23 gennaio 2018

Sarcone - già arrestato per reati "comuni" quali rapina e detenzione abusiva di armi da fuoco - sarebbe a detta degli inquirenti il "reggente" dell'organizzazione mafiosa decapitata nel 2015 con l'arresto dei due fratelli, attualmente detenuti in carcere. La loro influenza non sarebbe però svanita e il fratello minore avrebbe in qualche modo ereditato le direttive della famiglia, esercitando la propria influenza proprio nel processo Aemilia attualmente in corso.

E' proprio questo uno degli aspetti più critici su cui si sono concentrate le indagini dell'Arma di Modena e di altri territori. E' infatti stata documentata durante le udienze la presenza in aula di persone che avrebbero svolto un ruolo di raccordo tra i fratelli Sarcone rinchiusi in carcere e alcuni testi del processo, arrivando a veri e propri atti di intimidazione. Il quadro che si viene a costituire è perciò molto preoccupante e mette in luce un'organizzazione capace di sopravvivere anche al duro colpo inferto dalla giustizia.

In queste ore successive al fermo di Carmine Sarcone i Carabinieri sono ancora al lavoro in diverse province, tra Modena, Reggio Emilia, Cremona e la stessa Cutro, con l'obbiettivo di individuare alcuni nascondigli di armi e munizioni nella disponibilità dell'organizzazione mafiosa.

Aemilia, l’ordine dal carcere: trovare e intimorire i testimoni. VIDEO - Reggionline 24 gennaio 2018

Nelle pagine del decreto di fermo di Carmine Sarcone, ritenuto dalla Dda l’attuale reggente della presunta cosca di ‘ndrangheta emiliana, le lettere che dal carcere gli inviava il fratello maggiore Gianluigi
Nomi, cifre, informazioni: Carmine Sarcone, fermato ieri su richiesta della Dda che ritiene che l’uomo possa fuggire, era il tramite con l’esterno per i fratelli detenuti Nicolino e Gianluigi. Alcuni dettagli che emergono dalle 300 pagine del decreto di fermo della Dda.

“Fratelli’, mi fermo qua… rintracciateli… Una volta che hai rintracciato tutti, prepareremo le domande da fargli a tutti”. Gianluigi Sarcone scrive, dal carcere, al fratello Carmine. Gli dice in questo modo, per la Dda di Bologna, di trovare i testimoni del processo Aemilia. Attraverso un avvocato, Carmine avrebbe introdotto in carcere due chiavette usb: una vuota, una contentente articoli di giornale. Volevano informazioni, secondo l’accusa, da utilizzare a loro piacimento. In un caso, riportato nel decreto, sono riusciti nell’intento: sempre Gianluigi avrebbe consigliato cosa dire in aula a Francesco Falbo in merito a un affare a Sorbolo, un file audio consegnato a Falbo da Carmine.

Il 39enne era il cordone ombelicale, per la Dda. Rapine, danneggiamenti, roghi dolosi: il più giovane dei fratelli Sarcone avrebbe preso parte a tutto sin dalla fine degli anni ’90. Ma per i fratelli è il volto pulito, il più adatto, con loro in carcere, a gestire la “struttura criminale moderna e autonoma che affianca le caratteristcihe della classica tradizione ‘ndranghetistica calabrese a modalità operative agili e funzionali a penetrare la realtà socio-economica emiliana”.

Così la presunta cosca in Emilia viene definita dalla Dda nelle 300 pagine di decreto di fermo con cui si chiede che Carmine rimanga in carcere per il pericolo di fuga: a luglio ha rinnovato il passaporto, avrebbe tutti i documenti in ordine per fuggire all’estero.
In questo periodo, avrebbe gestito denaro e patrimonio: nonostante il sequestro preventivo del settembre 2014, secondo elementi acquisiti dalla squadra mobile di Reggio lo scorso novembre, il capannone della Sarcia sarebbe ancora nella disponibilità dei Sarcone proprio attraverso Carmine. Lì, negli ultimi mesi, nascosti dietro una parete di cartongesso, sono stati trovati 10mila euro in contanti. Lì è stata trovata documentazione bancaria della Romania. E nell’abitazione di Carmine, su una mensola, un biglietto con nomi, cifre e calcoli: secondo il pentito Salvatore Muto, quote che ciascun imputato del processo avrebbe dovuto sborsare per pagare le registrazioni delle intercettazioni del processo, ordinate da Gianluigi Sarcone e il cui pagamento era stato anticipato da Carmine.

Reggio Emilia, Cristina Beretti nuovo presidente del Tribunale - Reggionline 24 gennaio 2018

La nomina è stata formalizzata oggi. Le congratulazioni del mondo della politica

REGGIO EMILIA – Formalizzata oggi la nomina del giudice Cristina Beretti a Presidente del Tribunale di Reggio. Il passaggio era già stato deciso dal Csm con un voto all’unanimità nel mese di ottobre, dopo che per oltre un anno aveva ricoperto il ruolo lasciato vacante dall’ex presidente Francesco Caruso trasferito a Bologna.

Cristina Beretti, 53 anni, dal 1996 è in forza in via Paterlini. Tra gli impegni che dovrà affrontare da Presidente anche la cronica carenza di organico, una cinquantina di dipendenti sugli 83 previsti per un palazzo di giustizia che ha visto aumentare considerevolmente il suo impegno con il maxi processo Aemilia.

Tra i primi a complimentarsi per la nomina ufficiale il Presidente della Provincia Giammaria Manghi che scrive: “Desidero esprimere la mia più autentica e piena soddisfazione per la nomina a Presidente del Tribunale di Reggio Emilia della dottoressa Cristina Beretti, alla quale vanno le mie felicitazioni ed un augurio di buon lavoro. La scelta compiuta oggi dal plenum del Consiglio superiore della magistratura premia meritatamente una professionista del territorio che, anche nei 15 mesi in cui è stata chiamata a svolgere le funzioni di Presidente Vicario, si è distinta per serietà, competenza ed equilibrio. E di cui abbiamo apprezzato l’impegno e la dedizione dimostrati anche nel delicato ruolo di componente del collegio giudicante del maxiprocesso Aemilia. La più che ventennale permanenza presso il Tribunale di Reggio Emilia, inoltre, le ha certamente consentito di acquisire al meglio le concrete dinamiche dell’ufficio giudiziario alla cui direzione oggi è chiamata”.

Anche il sindaco di Reggio Luca Vecchi si è complimentato con la dottoressa Bereti: “Desidero rivolgere a Cristina Beretti le congratulazioni e l’augurio di buon lavoro più sentito, dopo l’ufficializzazione della sua nomina a Presidente del Tribunale di Reggio Emilia. Questo importante incarico viene affidato alla dottoressa Beretti a riprova delle grandi capacità professionali sempre dimostrate dalla stessa, ed è il naturale compimento di un percorso che l’ha vista reggere in modo egregio il Palazzo di Giustizia della nostra città in questi mesi, da quando il suo predecessore, dottor Caruso, ha assunto l’incarico a Bologna.
Tribunale e Amministrazione comunale di Reggio Emilia continueranno anche nei prossimi anni, nel rispetto delle differenti competenze e autonomie, il rapporto di stretta collaborazione che ci ha sempre contraddistinto anche nel tempo presente e passato”.

Operazione “Æmilia”: arrestato nuovo reggente della ‘ndrangheta emiliana - miocomune.it Calabria - 24 gennaio 2018

CROTONE – 24 gen. - VIDEO - I militari del Comando Provinciale Carabinieri di Modena hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Bologna a carico di Carmine Sarcone, 39 anni, indagato per associazione di tipo mafioso, elemento di vertice dell’associazione ‘ndranghetistica emiliana autonomamente attiva in Emilia e collegata alla cosca Grande Aracri di Cutro (KR), ed attuale reggente del gruppo Sarcone.

Le indagini, dirette dal Procuratore distrettuale Giuseppe Amato e dai Sostituti procuratori Marco Mescolini e Beatrice Ronchi, hanno consentito di riscontrare le dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia, tra cui Antonio Valerio, Giuseppe Giglio e Salvatore Muto, nonché di valorizzare gli esiti di pregresse attività d’indagine, facendo emergere il ruolo assunto dal Sarcone in seno al sodalizio criminale e dimostrandone: la partecipazione alle riunioni tra gli esponenti della consorteria in occasione delle quali venivano pianificate le condotte criminose della cosca e prese le decisioni fondamentali per il mantenimento e il rafforzamento della stessa; la funzione di rappresentante dei fratelli Nicolino Sarcone, 53 anni, e Gianluigi Sarcone, 47 anni, in atto detenuti, svolgendo compiti di direzione della consorteria e dirimendo i contrasti interni alla struttura; i continui e costanti scambi di informazioni tra esponenti della cosca detenuti ed esponenti in libertà, tramite la propria partecipazione ai colloqui in carcere con i citati congiunti; la gestione diretta dell’attività criminosa e del patrimonio illecito della cosca.

L’attività investigativa ha inoltre consentito di raccogliere elementi indiziari in ordine a condotte tenute dal predetto Sarcone durante il processo “Æmilia” attualmente in corso dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia, tese all’indottrinamento e alla minaccia nei confronti di alcuni testi. Nel contesto dell’operazione, militari dei Comandi provinciali Carabinieri di Modena, Piacenza e Crotone stanno eseguendo decine di perquisizioni domiciliari in diverse province della penisola volte alla ricerca di armi nella disponibilità della cosca.

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