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inizio

mercoledì 14 settembre 2016

rito ordinario - primo grado

udienza nr. 26

AEmilia

RACCONTO DELL'UDIENZA

Ore 9.30 inizia l’udienza.

Bini Enrico - all'epoca Presidente della Camera di Commercio di Reggio Emilia

Pietro Merlo - non si presenta in aula

De Lucia Giuseppe

Pea - luogotenente

Maresciallo Giampiero Giancarlo

Pierucci Cesare

Pierucci Giovanni - non si presenta in aula

Nocerino - luogotenente

Mura - capitano

Entra in aula il teste, Enrico Bini:

Nel 2013 ero Presidente della Camera di Commercio di Reggio, prima sono stato Presidente della CNA di Reggio Emilia per 10 anni. L’ho conosciuta nell’autunno 2008 in un viaggio di rientro da Roma sul treno. Abbiamo chiacchierato e parlando mi manifestò il suo lavoro, era secondo quanto mi disse consulente del ministero di grazia e giustizia e stava lavorando per concretizzare appalti nel sistema carcerario italiano.
PM: Sentito il 20 luglio 2013 dai carabinieri di Parma lei disse “devo precisare che la donna si presentò con il cognome Mizzi”.
BINI: Si è vero. Ci scambiammo i contatti perché nel suo lavoro con queste gare d’appalto voleva incontrare imprese dell’agroalimentare della nostra associazione.
Fu organizzato un incontro alla CNA DI Reggio Emilia. Abbiamo fatto verifiche, su ciò che si poteva sapere. Le verifiche venivano fatte sul cognome Mizzi. Ho partecipato a quell’incontro ma sono andato via durante la riunione. Nel 2013 capii come andò la cosa.

A giugno 2013 Mirco Salsi mi chiamò dicendomi che aveva urgenza di parlarmi. Non avrei mai immaginato le cose che mi avrebbe detto, cose così gravi. Arrivai al bar per l’incontro e Salsi mi raccontò della signora Mizzi. Per me quel discorso si era chiuso. Mentre lui aveva continuato i rapporti con questa signora avevano messo insieme una società e aveva perso oltre un milione di euro. Mi disse che tramite Gibertini si mise in contatto con Silipo e Sarcone. Lui era in difficoltà, mi fece leggere messaggi sul cellulare. Lo cercavano continuamente e due persone tutti i giorni erano nella sua azienda e controllavano chi entrava e usciva. Mi disse che voleva aiuto da me. Io gli dissi che noi avremmo continuato a parlare solo se avesse denunciato. Gli ho detto che lo avrei accompagnato e aiutato io. Non avrei mai immaginato di Gibertini. Mandai un sms al capo della Mobile, gli spiegai la cosa e mi mise in contatto con l’ispettore Caiazzo.
Il problema nacque dai suoi soldi che non riusciva ad avere. Mi parlò anche di fatture false.

PM: Ai carabinieri disse che Silipo aveva chiesto a Salsi un anticipo di 250.000 euro giustificati con una fattura falsa.
BINI: Si è vero.
PM: Dal suo racconto ai Carabinieri c’è un primo momento in cui Silipo era il punto di riferimento di Salsi. Poi a un certo punto si rivolge a Sarcone. Lei ricorda il motivo?
BINI: No.
PM: Lei disse “Salsi mi ha raccontato che avendo capito che il suo recupero credito non aveva esito si era rivolto a Sarcone tramite Gibertini”. Ricorda questo particolare?
BINI: Si, intervenne Sarcone per intervenire su ciò che non stava avvenendo, ovvero il recupero dei soldi.
PM: Ai Carabinieri disse “a un incontro con Sarcone Salsi disse che non aveva ottenuto il risultato da Silipo. Sarcone disse che i soldi dati a Silipo poteva considerarli persi. E che lui poteva intervenire per portare a buon fine il recupero”. Conferma?
BINI: Si.
PM: Rapporto Salsi e Mizzi. Cosa seppe?
BINI: Salsi mi disse del credito maturato per una società che avevano fatto insieme.
PM: Lei disse ai Carabinieri “Il credito nasceva per la consegna di prodotti non pagati”
BINI: Si è vero.
 

CONTROESAME AVVOCATO BUCCHI, DIFENSORE DI MIRCO SALSI
AVV: Il sindaco antimafia, la conoscono tutti ma vorrei che lei, quando prima parlava di legalità e del suo impegno, spiegasse in due parole da quanto tempo si impegna attivamente contro la mafia.
BINI: In modo diretto da quando sono diventato presidente camera di commercio, 2008. Ma già da presidente della CNA avevo denunciato alcuni aspetti ma ho iniziato a farlo in modo più efficace da Presidente della camera di commercio.
AVV: Le accennò la Mizzi, ovvero la Gelmi, di appalti?
BINI: Si, lei mi disse che stava gestendo per conto del ministero di grazia e giustizia le mense delle carceri.
AVV: Glielo disse lei o Salsi?
BINI: Me lo disse lei in treno
AVV: Il 20 luglio 2013 ai Carabinieri disse “Non mi accennò mia al termine “appalti”. Ribadiva che grazie alle sue conoscenze poteva avere canali privilegiati..”. Vorrei che lei spiegasse la personalità di questa donna. Lei gli diede i suoi riferimenti, organizzò un incontro.
BINI: Era una persona come tante che si incontrano in questi contatti di lavoro. Era una conoscenza fatta in treno, non avevo idea di chi fosse
AVV: Si ma la convinse..
BINI: No, non mi convinse. Non poi abbiamo fatto una riunione per capire come muoverci.
AVV: Era una persona che le dava fiducia?
BINI: Ma in poche ore in treno come si fa a dare fiducia?
PM: Non sono dati di fatto.
CARUSO: Noi non chiediamo valutazioni.
BINI: Non avevo motivi di dubitare.
AVV: Salsi le spiegò le ragioni di questo incontro quando vi siete visti. Perché Salsi le chiese aiuto?
BINI: Era in difficoltà perché era sotto attacco da questi personaggi che volevano altri soldi.
AVV: Le disse di aver chiesto consiglio a qualcuno per recuperare questa somma?
BINI: A Gibertini che era suo amico e lo mise in contatto con loro.
AVV: poi le disse che i rapporti con Silipo li ebbe tramite Gibertini? Che era Gibertini ad avere rapporti con Silipo? Gibertini lo aveva conosciuto?
BINI: Si mi aveva invitato alla trasmissione Poke Balle per parlare di legalità.
AVV: Quando Salsi le parlò di Silipo lei le ha chiesto ma sai chi è Silipo?
BINI: Si
AVV: e Salsi cosa disse?
BINI: Mi sembrava assurdo che un imprenditore come lui potesse rivolgersi a persone come loro.
AVV: Lei disse ai Carabinieri “Gli ho chiesto se lui sapesse chi fossero questi due e mi ha risposto no. Quindi lui ha risposto no”, è così?
BINI: Può essere.
AVV: Le disse quali erano le ragioni per cui si era rivolto a Gibertini? Perché anziché rivolgersi a un avvocato si rivolse a Gibertini?
BINI: Non ricordo il perché lui si rivolse proprio a Gibertini.
AVV: Lei disse ai carabinieri “perché gli era stato assicurato che il recupero del credito sarebbe stato più veloce anziché affidarsi a una denuncia legale alle autorità”.
BINI: Si è vero.
AVV:Quando voi stavate parlando mi descrive le condizioni di Salsi?
BINI: Molto provato e spaventato
AVV:Ricorda se Salsi ricevette telefonate?
BINI: Si, credo messaggi.
AVV: Lei disse ai Carabinieri “Mentre Salsi mi raccontava queste cose gli squillava continuamente il telefono”. E poi lei stesso si attivò con le autorità.
BINI: Si è vero.
AVV: Torniamo al rapporto Salsi Gibertini. Salsi le disse se aveva in precedenza prestato soldi s Gibertini?
BINI: Si
AVV: Le disse quanto?
BINI: Non ricordo
AVV:Lei disse ai carabinieri: “Salsi mi ha confidato di aver dato a Gibertini 250.000 euro”. Si ricorda come reagì a questa confidenza? Cosa lei disse a Salsi?
BINI: Non ricordo
AVV: “250.000 euro in tempi diversi rispetto a quelli di Silipo. Mi ha detto di aver prestato per motivi sconosciuti a un amico in difficoltà”. Le disse così?
BINI: Si.
PM: Mentre era con Salsi squillava il telefono. Salsi le disse il contenuto dei messaggi?
BINI: Lo invitavano ad uscire. Avevano bisogno di un incontro. Gli chiedevano di entrare in contatto con loro. E poi infatti fu messo sotto scorta per un giorno.
PM: Lei disse ai Carabinieri “mi ha detto che il Silipo lo stava cercando per assegni post datati di circa 780 o 800.000 euro. Mi parlò di altri 50.000 euro oltre i 250.000 già dati. Silipo disse che se non consegnava quanto richiesto sarebbe venuto lui da Salsi” E ancora “devo precisare che poco prima mi ha detto che Silipo aveva incaricato dei milanesi”.
BINI: Erano quelli che erano andati a Brescia per cercare la signora Mizzi (…). La signora Gelmi mi chiamò poco dopo che uscì sui giornali la vicenda di Mirco Salsi. Le dissi di non chiamarmi mai più. Telefonata strana dove mi chiedeva come stava. Io dissi che non volevo nessun rapporto con lei e che non doveva più cercarmi. Una persona che agisce come lei per me non aveva motivo di essere ascoltata.
CARUSO: Le dice perché si rivolge a Gibertini?
BINI: Perché erano amici. Non ricordo il motivo particolare.
CARUSO: Lui sapeva che Gibertini aveva conoscenze in grado di poter recuperare i soldi?
BINI: Non lo so. Ma so che si rivolse a Gibertini perché gli aveva confidato del problema dei soldi.
CARUSO: Perché non si rivolse all’avvocato ma a Gibertini? Sa come queste persone avrebbero recuperato i soldi?
BINI: Perché secondo me lo sapeva e gli andava bene così.
AVV: Questo è un suo giudizio.
CARUSO: E come tale sarà valutato.
BINI: Lui viveva a Reggio Emilia e non poteva non sapere chi fossero queste persone.
CARUSO: Le disse che sapeva come queste persone avrebbero recuperato i soldi?
BINI: Si
CARUSO: Glielo disse? Che era questa la ragione per cui si era rivolto queste persone?
BINI: Mi disse che il suo obiettivo era portare a casa i soldi.
CARUSO: Di questa attività estorsiva Salsi le manifestò dissenso e contrarietà?
BINI: No infatti gli dissi che già da li doveva fare la denuncia.
CARUSO: E lui cosa disse?
BINI: Che gli andava bene così
AVV: Gli disse perché non faceva la denuncia?
BINI: Perché era dentro questo giro e gli andava bene così
AVV: Questo atteggiamento da parte di queste persone aveva creato turbamento in Salsi?
BINI: Alla fine. Ma prima no, ha continuato ad avere rapporti con queste persone per avere indietro i suoi soldi
AVV: Ha avuto elementi per capire se Salsi fosse consapevole di essersi rivolto alla ndrangheta?
BINI: Per me si.
AVV: Alla ‘ndrangheta o all’illegalità in generale?
BINI: Alla ‘ndrangheta
AVV:Lei disse ai Carabinieri “Salsi era agitato. Mi raccontava qeusti eventi e io sono rimasto esterrefatto. Tuttavia devo onestamente dire che non credo che Salsi sia stato ingenuo ma che sapeva bene a chi si stava affidando. Magari non proprio alla ndrangheta ma certamente a persone che nulla hanno a che fare con la legalità. Non poteva dirmi di non conoscere questi personaggi e di non leggere i giornali”. E’ corretto?
BINI: Si.


Termina la deposizione del teste, Enrico Bini.
 

ll teste Pietro Merlo, convivente di Maria Rosa Gelmi, regolarmente citato, non si è presentato in aula.
 

Entra in aula il teste, Giuseppe De Lucia

Il PM mostra gli assegni al teste De Lucia che disconosce la firma presente negli assegni.
 

Per capire la vicenda che riguarda Giuseppe De Lucia: Il suo nome viene fatto durante la scorsa udienza dal Maggiore Giovanni Mura, del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Parma che ha raccontato alla Corte: “ Eseguiamo perquisizione nella casa e nell’azienda di Salsi Mirco il 4 luglio 2013. Troviamo documentazione che comprova la vicenda. Copia della cessione del credito. Salsi ci porta presso un istituto di credito e dentro una cassetta di sicurezza troviamo altri documenti. Lo stesso giorno Silipo tempesta di telefonate Salsi perché vuole portargli Ferraro. Si capisce che le preoccupazioni di Salsi sono fondate e Silipo è pressante. “Ti porto un amico che ti vuole salutare” dice Silipo e Salsi “ti vuole salutare il signor Vincenzo”. Ovvero Ferraro Vincenzo, a cui dava del voi e portava un particolare rispetto. Io ero con Salsi e ascoltai quella telefonata.
 

Mentre facciamo la perquisizione Silipo e Ferraro si recano nell’azienda e si allontanano. Poi tornano nel pomeriggio e Salsi non vuole incontrarli e ci informa di ciò che stava accadendo. Troviamo sei assegni emessi da De Lucia Giuseppe, di circa 115 mila euro ciascuno. Lo identifichiamo e lo mettiamo sotto intercettazioni. Personaggio con grossi problemi economici, disoccupato. Notiamo che la firma sugli assegni è diversa da quella reale di De Lucia. E allora lo andiamo a sentire. De Lucia viene perquisito ma non viene trovato il blocchetto degli assegni da cui erano stati emessi gli assegni. E poi De Lucia fa la denuncia per furto”.

Termina la deposizione del teste Giuseppe De Lucia.
 

Dieci minuti di sospensione.
 

Entra in aula il teste, il Luogotenente Pea

Il 30 gennaio 2014 Grammatica viene da noi per denunciare Silipo Antonio per usura. Si rivolse a lui per ottenere un prestito di 10.000 euro con la promessa di restituire il capitale e gli interessi. Ottenne questo prestito con un assegno circolare e un bonifico bancario. Ha restituito le prime 5 rate da 2.100 euro ciascuna. In difficoltà la Grammatica tentò di prendere tempo ma Silipo le fece pressioni e cercò di accaparrarsi un garage dalla donna che però non ottenne.

Sulla base di pressioni telefoniche da parte di Silipo, la donna gli consegna tre assegni da 10.000 euro ciascuno con scadenza a gennaio, febbraio, marzo 2014. La Grammatica fece denuncia perché Silipo la pressava continuamente per riavere la somma e gli interessi. Iniziamo le intercettazioni che confermano il tono minaccioso e pressante del Silipo “se non mi restituisci vengo nel tuo ufficio e prendo tutto”.

Termina la deposizione del teste, il Luogotenente Pea.
 

Entra in aula il teste, il Maresciallo Giampiero Giancarlo

Nella perquisizione del 7 aprile 2014 a casa di Silipo Antonio troviamo documenti vari. Una cartellina in cui erano contenute fotocopie dei documenti di Cerruti Stefano, fotocopie di assegni, contratto di intermediazione immobiliare e alcuni appunti manoscritti. Dall’esame di questa documentazione abbiamo sentito il 14 aprile il signor Cerruti e lo abbiamo sentito come persona informata sui fatti. Ci ha confermato di aver ottenuto un prestito di 20.000 euro e ci ha anche parlato di interessi del 21% mensili con assegni e contanti.

Nella cartellina a casa di Silipo troviamo un assegno di 2.200 euro non incassato e un assegno di 4.200 euro.

Appunti manoscritti sulla fotocopia di un assegno. “Conto totale 10.000 euro meno 4.200 rimanenza 5.800 assegno consegnato a Gaetano il 27. 5. 2013” e c’era anche una firma non leggibile.

Da luglio 2013 Cerruti non riesce più a dare soldi a Silipo. Fanno un accordo in cui viene stabilito che Cerruti avrebbe corrisposto a Silipo 35.000 euro. Quindi 20.000 euro era il capitale. 15.000 erano gli interessi. Di questi, 10.000 con assegni, 5.000 alla fine. In dieci mesi, da gennaio a ottobre. Scadenza fissata al 15 di ogni mese.

Assegni da 3.000 euro al mese con la firma di Cerruti.

Morelli Maria Cristina è fisicamente la persona che ha ottenuto il prestito iniziale di 20.000 euro. Compagna di Cerruti Stefano. E’ lei che si è accordata personalmente con Silipo e ha consegnato alla figlia, Silipo Floriana, una somma in contanti.

La Cavalleria Srl emerge con la vicenda Cerruti. Gli assegni vedono la società Cavalleria come beneficiaria degli assegni.

Silipo Floriana è la figlia di Silipo Antonio. Secondo noi ha partecipato all’attività illecita del padre. Ha riscosso, su incarico del padre, la riscossione dei soldi da parte della Morelli, compagna di Cerruti.

La sede legale della Cavalleria srl era presso il domicilio fiscale di Silipo dove erano presenti tutte le società di Silipo.

Termina la deposizione del teste, il Maresciallo Giampiero Giancarlo.
 

Entra in aula il teste, Pierucci Cesare
 

Il fratello Giovanni, chiamato a testimoniare, non si è presentato il aula.
 

PER CAPIRE LA VICENDA INERENTE A PIERUCCI GIOVANNI, DI CUI HA GIA’ PARLATO DURANTE LE SCORSE UDIENZE IL MARESCIALLO MELEGARI. Il Maresciallo Danilo Melegari, Comandante della Stazione dei Carabinieri di Neviano degli Arduini della provincia di Parma, parla davanti alla Corte di numerose vicende di usura e danneggiamenti in cui sono coinvolti esponenti della famiglia Amato. “Abbiamo capito che alcuni personaggi calabresi si appoggiavano a imprenditori del luogo con pretesti arbitrari, chiedendo loro soldi che non gli spettavano. Inizialmente individuiamo Alfredo e Francesco Amato”. Ed è proprio Alfredo Amato il protagonista di un “comportamento inequivocabilmente minaccioso” nei confronti dell’imprenditore Giovanni Pierucci. Così come si legge nelle carte dell’inchiesta “Pierucci deve del denaro ad Alfredo Amato. Ma trovandosi in difficoltà economica, per arginare le continue e incessanti richieste di denaro, è costretto a cedere su volontà dell’Amato una macchina ed uno scooter”. Si tratta di un’AUDI A4 dal valore di 47.000 euro e un motociclo HONDA. Sempre nell’ordinanza, gli inquirenti sostengono che Amato abbia commesso il fatto “avvalendosi della condizione di intimidazione derivante dalla sua appartenenza alla ‘ndrangheta ed in particolare all’articolazione ‘ndranghetistica emiliana, avente epicentro nella provincia di Reggio Emilia”. Il Maresciallo Melegari, che ricostruisce l’intera vicenda avvalendosi anche delle numerose intercettazioni telefoniche, pone infine l’accento sull’atteggiamento di Giovanni Pierucci: “noi l’abbiamo chiamato più volte ma non si è mai presentato. Probabilmente voleva tenere segreti questi rapporti con Alfredo Amato”.
 

In quel periodo avendo problemi con mio fratello, un giorno ho incontrato, ho visto la nostra macchina, che era la mia, guidata da una persona sconosciuta. Mi sono fermato e ho chiesto il motivo. Da lì ho chiesto spiegazioni. Poi era sparita anche la moto, oltre la macchina. Mi sono rivolto alle autorità. La macchina aveva un valore di 10.000 o 12.000 euro. La moto di circa 6.000 euro.

Mio fratello mi disse che non aveva venduto la macchina. Pressato da me siamo andati insieme dalle autorità. Abbiamo fatto una querela per appropriazione indebita.

Ha detto che aveva lasciato la macchina, ma non so a chi l’aveva lasciata. Il personaggio alla guida della mia auto lo vedo a Cavazzoli. Era tatuato e scuro di carnagione.
 

PIERUCCI: In quel periodo però io non la stavo usando quella macchina.
CARUSO: A noi non interessa se la stava usando. Noi vogliamo sapere perché uno sconosciuto era a bordo della sua auto.
PIERUCCI: Dopo la vicenda della querela sono emerse altre cose.
CARUSO: E ce le dica. Siamo qui per capire.
PIERUCCI: Mi sembra che mio fratello mi aveva detto che il motivo della cessione dell’auto era perché questo individuo doveva aggiustare una cosa nella macchina.
PIERUCCI: Mio fratello non la voleva fare la querela.
PM: Aveva paura?
PIERUCCI: Non lo so.
CARUSO: La querela l’ha fatta suo fratello in sua presenza?
PIERUCCI: Si
CARUSO: Cosa disse suo fratello?
PIERUCCI: Non me lo ricordo.
PM: Sa se questa auto è stata rintracciata in un secondo momento?
PIERUCCI: Mi sembra di ricordare che è stata trovata all’estero, forse in Francia.
PM:: Sa se suo fratello ha ritirato la querela?
PIERUCCI: Non lo so
PM: Se le dicessi che è avvenuto? Le ha detto perché?
PIERUCCI: No
PM: La querela era sporta e ritirata nei confronti di Amato Alfredo. Lo sapeva perché aveva dato la macchina ad Amato?
PIERUCCI: Mi ha sempre detto che doveva fare qualcosa, non lo so.
CARUSO: Lei davanti al Maresciallo ha ascoltato ciò che suo fratello diceva ai Carabinieri che scrivevano ciò che diceva. Ora lei non ricorda.
ll PM legge al teste, Cesare Pierucci, le dichiarazioni fatte ai carabinieri dal fratello Giovanni.
CARUSO: Lei ha l’obbligo di dire la verità e soprattutto quello che sa. Lei dice che non sa niente. Se per caso dovesse emergere una realtà diversa poi avrà problemi. Quindi se sa altre cose lo dica.

Termina la deposizione del teste, Cesare Pierucci.
 

Entra in aula il teste, il luogotenente Nocerino

La dipendente sottolineava che presso l’azienda di Giglio c’era passaggio di contanti tra Giglio Giuseppe e Floro Vito Gianni. Confermato da intercettazione ambientale del 14 febbraio 2013. Contavano denaro in contanti.

Vengono mostrate in aula le trascrizioni delle intercettazioni tra Giglio e Floro Vito.

Tra i due soggetti avvengono passaggi di denaro in contanti. Prova dii questo è il foglio manoscritto sequestrato a Floro Vito Gianni riportante intestazione Giglio srl del 24.9.2012. Conteggi tra quello che deve avere Giglio e quello che deve avere Floro Vito. Viene mostrato in aula il documento manoscritto.

Hanno monetizzato 7 milioni di euro tra sportelli bancari e postali, soprattutto postali. Nei conteggi andiamo a vedere che gli obiettivi del contante erano due: dare soldi in prestito a chi ne aveva bisogno e restituire denaro in contante a chi aveva usufruito delle fatture per operazioni inesistenti.

Il cliente in difficoltà economica riceveva denaro in contante di cui aveva bisogno., impegnandosi a pagare solitamente in trenta giorni. Con interessi che oscillavano tra il 127% e il 207%.

Viene accertata la presenza di numerose società satelliti con funzioni di cartiera.

Era più complessa la restituzione del denaro per quanto riguardava l’usura. Più semplice per le emissioni di fatture per operazioni inesistenti. Questo insieme di persone che emettevano fatture false ne ricavavano un guadagno di circa il 26% perché oltre all’IVA che incassavano prendevano un 5% a parte.

Vulcano Mario, stretto collaboratore di Floro Vito.

La Trasmoter è una società riconducibile a Giglio Giuseppe. Messa a disposizione per servizi come fatture false, messa a disposizione di denaro, documenti per finanziamenti. Fatture false emesse per coprire operazioni finanziarie.

Con le intercettazioni notiamo la necessità delle scadenze. A un mese su quel conto doveva esserci una disponibilità finanziaria perché scadevano le fatture emesse. Quindi c’è una rincorsa per recuperare soldi. Ansia di queste persone di mettere disponibilità sui conti.

Floro Vito è un collaboratore di spicco di Giglio, persona di fiducia. Intercettazioni telefoniche dove Giglio dice alle persone di rivolgersi a Floro Vito. Giglio si fidava tantissimo di Floro Vito Gianni.

Viene mostrato in aula un manoscritto. Elenco pagamenti di Giglio. Giri finanziari tra Giglio Giuseppe e Belfiore Carmine. Riteniamo che questi movimenti vengano coperti con l’emissione di fatture false finalizzate a fare rientrare il denaro proveniente da operazioni illecite. Stretta collaborazione tra Giglio Giuseppe, Belfiore Carmine e Vulcano Mario.

Zangari Valter è preposto alla gestione della Trasmoter. In questa società rientravano fondi per vie ordinarie e venivano prelevati costantemente soldi in contanti. Quasi istantaneamente. Spesso lo stesso giorno. Trasmoter è l’intermezzo tra Giglio e le società che monetizzavano i contanti.

Abbiamo conteggiato che nel 2012 la Giglio srl ha emesso fatture false per operazioni inesistenti per il valore di 1 milione e 700 mila euro.

Vulcano Mario collaboratore di Giglio e di Floro Vito. Come Floro Vito aveva il compito di recarsi negli istituti bancari per recuperare i contanti. Stessa cosa per Belfiore. Giglio è a capo. Stretto collaboratore è Floro Vito Gianni che aveva alle sue dipendenze Vulcano e Belfiore.

Dalle intercettazioni capiamo che Zangari Valter prende direttive da Floro Vito Gianni.

Dalle intercettazioni capiamo il compenso che Zangari prende dalla sua attività di prestanome. Giglio “Valter quanto ti sono rimasti ora?” e Zangari “500 euro, io ho bisogno di 1.000 perché sennò spaccano il mondo a casa”.
 

Sospensione di dieci minuti.
 

La Trasmoter è gestita direttamente da Giglio ma rappresentata da Zangari Valter, cugino di Giglio.

Una dipendente della Giglio srl ci ha detto che è Giglio a gestire la Trasmoter, servendosi di Bonazzi Andrea, dipendente della Giglio srl.

Abbiamo esaminato i registri del 2011 della Trasmoter e abbiamo accertato che la Giglio srl ha emesso nei confronti della Trasmoter fatture per operazioni inesistenti per un valore di 1 milione di euro circa e circa 2 milioni per fatture di acquisto.

Nel 2011 si registrano fatture di vendita emesse dalla Trasmoter nei confronti della Floro Vito Costruzioni e Giglio srl per un valore di 1 milione e 200 mila euro. Mentre le fatture emesse dalla Giglio srl sono di 2 milioni e 600 mila euro comprensive di IVA.

Le perquisizioni del 13 febbraio 2014 nei confronti di tantissimi indagati hanno fornito prova delle condotte usuraie perpetrate dal sodalizio nei confronti di Gangi Giovanni.

I dipendenti della Giglio srl hanno confermato l’attività di prestito di denaro nei confronti di Gangi Giovanni che quando è stato interrogato ha confermato tutto.
 

A causa di gravi problemi familiari e personali termina adesso la deposizione del Maresciallo Nocerino. La sua deposizione riprenderà durante le prossime udienze.
 

Entra adesso in aula il Capitano Mura

Si parla nuovamente della questione Gelmi. La donna era disponibile a mettere a disposizione i messaggi di minacce di Salsi. La sim card non è però mai stata acquisita. Contatti tra Salsi e Sarcone. No telefonici ma contatti fisici si, sono andati insieme al Fashion Cafè il 12 febbraio 2013 insieme a Gibertini. Incontro durato un’ora e mezza. Incontro in cui vengono dati gli assegni a Salsi il 5 marzo 2013. Presenti all’incontro Ferraro, Calesse, Gibertini, Silipo e Salsi.
 

AVVOCATO BUCCHI, DIFENSORE SALSI
AVV: Avete acquisito i tabulati di Silipo, Ferraro e Calesse dall’1 gennaio 2012 al 22 marzo 2013?
cap. MURA: Non rammento la data. Abbiamo sviluppato tabulati pertinenti i tre soggetti per la ricerca dei riscontri a ciò che aveva dichiarato la Gelmi circa le telefonate di Silipo.
AVV:A me interessa se in questo periodo sono stati acquisiti questi tabulati.
cap. MURA: Non ricordo il periodo. Sicuramente dall’1 agosto 2012. Le prime dichiarazioni della Gelmi ci indussero a ricercare una data vicina al Ferragosto di quell’anno. Intercettazioni telefoniche già attive sull’utenza di Silipo.
 

Il 17 giugno 2013 Grassi Mauro, imprenditore ravennate sporge denuncia per minacce ricevute quello stesso giorno Tre uomini si erano presentati presso il ristorante “La Locanda del Melarancio”, locale del quale egli era stato, sino a quattro anni prima, legale rappresentante, chiedendo alla cameriera Russo Valentina notizie su di lui e di rintracciarlo al più presto. Uno di questi tre personaggi si presenta come carabinieri. Il Grassi quello stesso giorno riceve telefonate ma non risponde al telefono. Sul tardi richiama e si danno appuntamento per un incontro il giorno successivo. Incontro avviene fuori il bar gestito da Grassi. Grassi registra questo incontro e fornisce il materiale ai carabiniere. I tre personaggi sono Silipo Antonio, Sarcone Nicolino e Gibertini Marco. Silipo dice di essere in possesso di un documento che lo autorizza a recuperare un credito di 200 mila euro che Debbi Giuliano ha maturato con Grassi. Grassi passa la registrazione audio dell’incontro ai carabinieri.

Vengono trovati documenti in sede di perquisizione a casa di Silipo il 7 aprile 2014 dalla guardia di finanza di Reggio Emilia e nella casa di Debbi Giuliano nel gennaio 2015. A casa di Silipo troviamo anche una tessera intestata a lui dell’associazione nazionale dei carabinieri. Trovate anche fotocopie di assegni bancari e il documento della cessione del credito nei confronti di Grassi a favore di Silipo. Trovati anche appunti manoscritti.

Il valore del credito rivendicato da Debbi nei confronti di Grassi è di circa 200.000 euro.

Durante la perquisizione a casa di Debbi Giuliano viene trovata una copia della cessione del credito inerente a Melchiorri Renzo.

Si parla in una della vicenda del Marinabay srl, del Melarancio e dei fatti estorsivi commessi nel ravennate.

Al Grassi viene fatto presente che loro sapevano dove abitava. Una frase del genere e in un contesto del genere non poteva che essere minacciosa. Silipo era quello che teneva il dialogo con Grassi e vuole fare di tutto per riscuotere il denaro.

Ricostruzione fatta da Grassi in merito al suo incontro con Silipo, Gibertini e Sarcone. Interlocutori sono Silipo e Grassi. “Siccome abbiamo comprato una cessione di credito da Giuliano (Debbi)” afferma Silipo. Grassi dice al Silipo che gli sta parlando in modo agitato “tu ti sei presentato male perché mi hai cercato in un posto in cui non sono da anni” (bar che Grassi non gestiva da tempo). Sarcone dice “dove ci ha mandato Giuliano”.

“Recuperare questo credito”, dice Sarcone in merito a questo incontro. “Ma in che modo, non ho credito, ho la casa pignorata e all’asta” dice Grassi. “Ma uno che fallisce mica vuol dire che è morto” gli viene detto. “Non sono morto ma non ho un euro” dice Grassi. Intanto Gibertini viene presentato da Sarcone come “nostro amico”. Grassi chiede perché non sia venuto Debbi “perché lui è fuori” gli dice Silipo.

Silipo ha un tono di voce piuttosto alto durante la conversazione.

Grassi dice che non deve soldi a nessuno.
 

Inizia il CONTROESAME del teste in merito a questo capo di imputazione

AVV: Le ha redatto informativa conclusiva su queste indagini?
cap. MURA: Si, ho redatto la nota conclusiva.
AVV: Lei ha detto che Grassi il 17 giugno 2013 si recava dai carabinieri di Ravenna per esporre denuncia. Il 18 intervengono i carabinieri e fermavano i soggetti Silipo, Sarcone e Gibertini e questi vengono accompagnati presso gli uffici del reparto operativo. Visto che non vi era interazione tra il suo ufficio e quello dei carabinieri di Ravenna come mai in presenza di una denuncia esposta il giorno prima per una richiesta estorsiva, i carabinieri fermano e rilasciano i tre soggetti?

cap. MURA: Bisognerebbe chiederlo ai carabinieri di Ravenna.

Nota del 16 gennaio 2014 dove si parla degli episodi che coinvolgono alcuni soggetti imputati a Ravenna.
 

AVV: Grassi parlò di cessione del credito o riscossione del credito?
cap. MURA: Non mi ricordo.
CARUSO: Lei ha parlato di cessione del credito da parte di Debbi a queste persone. Come lo sa?
cap. MURA: Sulla base della copia del contratto
CARUSO: Una cosa è la cessione del credito, una cosa è la riscossione. Nel caso della cessione, Silipo, Sarcone e Gibertini a quel punto agirebbero per conto loro, perché il credito una volta ceduto è un credito loro.
CARUSO: Debbi cosa chiede a Gibertini?
cap. MURA: Gli parla dell’esistenza del credito nei confronti del Grassi. Gibertini gli dice che conosce chi può fargli recuperare questo credito come ha già fatto con un’azienda modenese.
 

La mattina del 30 giugno 2013 Ugo Apuzzo, gestore dello stabilimento balneare “Marinabay” di Marina di Ravenna, chiede l’intervento del personale dell’arma perché tre uomini calabresi si sono presentati da lui e lo stavano minacciando. Il personale interviene e identifica Diletto Alfonso, Gerace Gennaro e Spagnolo Mattia.

I tre parlano di un contratto di usufrutto e per questo volevano verificare gli incassi. Questo atto legittimava Gerace o chi per lui a ingerirsi nella gestione del locale per il 50%, avendo come titolo di essere divenuto un usufruttuario.

Si presentano i tre in un primo momento. Gerace è titolare di questo contratto. Diletto non ha alcun titolo ma è il cognato di Gerace che non ha dimestichezza con questi affari ed è Diletto che in quell’occasione interloquisce per lui. Lui non prende mai parola.

Il giorno successivo Apuzzo richiama i carabinieri segnalando minacce più pesanti in particolar modo da parte di Diletto che lo aveva minacciato di impiccarlo e di dare fuoco al locale. Intervengono i carabinieri, sentono le parti. I tre che accompagnano Diletto sono Lazzarini Giuseppe, Dallolio Andrea (commercialista di Debbi Giuliano) e Grande Domenico (commercialista di Diletto Alfonso).
 

INIZIA IL CONTROESAME DEL TESTE
AVV: La condotta estorsiva si denota solo dalla denunce dei soggetti querelanti?
cap. MURA: Si

Termina il controesame.

Termina la deposizione del teste, il Capitano Mura.
 

Termina l’udienza.

Trascrizione a cura di: S.D. - Impaginazione a cura di S.N.

RASSEGNA STAMPA

Antimafia, nuova misura di prevenzione per Antonio Valerio - Il Resto del Carlino 14 settembre 2016

Aemilia, nuovi verbali del pentito Giglio. Oggi la testimonianza del sindaco Enrico Bini

di Benedetta Salsi - Resto del Carlino 14 settembre 2016

Nuovo provvedimento antimafia emesso dal tribunale di Reggio. Antonio Valerio, 49 anni, imputato del processo Aemilia (assiste alle udienze dalla gabbia di sicurezza in aula), è stato sottoposto a una misura di prevenzione personale di due anni.

Il pm della Dda di Bologna Marco Mescolini ne aveva chiesti per lui cinque. Per Valerio – accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso e considerato dagli inquirenti uno degli organizzatori della cosca emiliana di ’ndrangheta – era stata chiesta anche la misura di prevenzione patrimoniale (con sequestro dei beni personali), ma sarebbe stata rigettata, in quanto fra i redditi del calabrese e i beni a lui intestati non ci sarebbe sperequazione.

Il provvedimento è stato emesso a luglio dai giudici Angela Baraldi, Antonella Pini Bentivoglio e Giovanni Ghini.

In sostanza, si tratta di una sorta di libertà vigilata, Valerio sarà a tutti gli effetti un sorvegliato speciale, non potrà uscire in determinate fasce orari e frequentare pregiudicati. Una misura chiesta dalla procura per i soggetti ritenuti pericolosi. «Valerio è considerato organizzatore ed già stato implicato in un processo per concorso in omicidio di ‘ndrangheta», si legge fra le motivazioni addotte dalla Dda.

Antonio Valerio, infatti, nel 2013 fu coinvolto nell’operazione Filottete, inchiesta di Catanzaro che ha cercato di far luce su vent’anni di faide tra le cosche del Crotonese e sette omicidi avvenuti tra il 1989 e il 2007. Fondamentali, per le indagini, le dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Lea Garofalo, poi uccisa dal suo ex compagno Carlo Cosco; il suo cadavere bruciato.

Antonio Valerio nel processo scaturito da Filottete era imputato per concorso in omicidio di Rosario Ruggiero, assassinato il 24 giugno del 1992 a Cutro, ritenuto reo – a suo dire – dell’omicidio del padre. Valerio, secondo le accuse, avrebbe preordinato il delitto dal carcere di Reggio in cui era detenuto per fatti di droga.

Contro di lui ci sarebbero state anche le dichiarazioni dei pentiti Paolo Bellini e Angelo Salvatore Cortese. Il pm di Catanzaro aveva chiesto una condanna a 30 anni per Valerio; il gup, invece, lo ha assolto per non aver commesso il fatto nel luglio 2015.

A carico di Antonio Valerio, ora, ci sarebbero però anche due nuovi verbali di dichiarazioni rilasciate dal pentito del processo Aemilia Giuseppe ‘Pino’ Giglio, già condannato in abbreviato a 12 anni e 6 mesi. Giglio – difeso dall’avvocato Luigi Li Gotti – all’interno della sua collaborazione di giustizia con la procura antimafia di Bologna, avrebbe confermato l’appartenenza di Valerio alla cosca emiliana.

«Nelle parole di Giglio non c’è alcun riferimento preciso, solo parole riportate e per sentito dire – commenta l’avvocato Francesco Miraglia, difensore di Valerio –. Mi sembra che tutto questo processo sia basato sul luogo d’origine, su chi è calabrese. Ma in un processo per associazione mafiosa credo ci debba essere almeno un indizio coincidente e concordante. Qui non c’è. Credo anche che ci dovrebbe essere più gente ad assistere alle udienze, per capire come vanno le cose. Le persone dovrebbero venire e rendersi conto. Stiamo facendo un processo sul luogo d’origine delle persone».

Oggi in calendario una nuova udienza del processo Aemilia. Tra i testimoni in calendario anche il sindaco di Castelnovo Monti Enrico Bini, che per primo ha denunciato le infiltrazioni all’interno del mondo dei trasporti.

La partita più difficile del Crotone - Corriere della Calabria 14 settembre 2016

Crotone - Fischio d'inizio per la partita più importante del Crotone. Non si tratta di un appuntamento di campionato, ma dell'udienza fissata per oggi di fronte ai giudici della Corte d'appello...

Pene fino a 7 anni e 8 mesi a Bologna per il gruppo Pugliese nel processo "Zarina" su riciclaggio cosche - La provincia KR 15 settembre 2016

La Provincia Crotonese - 15 settembre 2016

BOLOGNA – Sette condanne, fino a sette anni e otto mesi per l'uomo ritenuto al vertice del gruppo. Ma pene più che dimezzate rispetto alle richieste dell'accusa e l'esclusione dell'aggravante dell'aver agito con finalità mafiosa. E' finito così in primo grado davanti al tribunale di Bologna, presieduto da Stefano Scati, il processo 'Zarina' a Michele Pugliese, alias 'La Papera', ritenuto dalla Dda uomo delle cosche di 'Ndrangheta Arena e Nicoscia di Isola di Capo Rizzuto: era imputato insieme ad altri, tra cui suoi familiari, per reimpiego di denaro di provenienza illecita e intestazione fittizia di beni. Oltre a Michele Pugliese, i giudici hanno condannato Giuseppe Ranieri a sei anni e dieci mesi, Mirco Pugliese a tre anni e due mesi, Doriana Pugliese a tre anni e quattro mesi, Caterina Tipaldi e tre anni e due mesi, Vittoria Pugliese a un anno e quattro mesi, Carmela Faustini a due anni. Assolta Mery Pugliese.

Il processo "Zarina" è nato dall’omonima operazione che, nell'aprile 2014, portò a 13 arresti per riciclaggio di beni delle cosche operanti affari in Emilia, soprattutto nel Reggiano e nel Mantovano, attraverso società intestate a prestanome attive nell’autotrasporto e nel movimento terra. La sentenza era attesa a settembre. Le cosche di Isola Capo Rizzuto sono state ritenute legate nel tempo, alternativamente, ai clan Grande Aracri e Dragone di Cutro. Erano stati giudicati con rito abbreviato nel marzo 2015 gli altri soggetti coinvolti nel processo. La condanna più rilevante fu per il 50enne Vito Muto (5 anni e 2 mesi di reclusione); alla moglie di Muto, Anna La Face, di 46 anni andò meglio con 2 anni di carcere ma con la sospensione condizionale della pena; il 38enne Federico Periti venne condannato a 4 anni di reclusione; 4 anni di carcere furono comminati anche per il 41enne Diego Tarantino; infine, 2 anni di cella vennero decretati per il 27enne Salvatore Mungo.

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